Governo

Non possiamo buttare via 2 anni e mezzo di Riforme!

22 Giugno 2016

Il ballottaggio delle elezioni amministrative si è rivelato un disastro politico per il Pd e per il premier-segretario Matteo Renzi. Una sconfitta senza mezzi termini, un chiaro segnale verso le scelte e le politiche perseguite dal governo. Il caso Torino è il più emblematico di tutti: città riconosciuta anche internazionalmente per il suo buon governo, è stata strappata al sindaco uscente Piero Fassino a causa di morsa letale tra 5 anni di amministrazione vissuti nella peggior crisi economico-sociale della storia italiana e l’agguato politico delle destre intenzionate a punire un sistema di potere e soprattutto di assestare un colpo alla credibilità del premier fiorentino.

Le indiscrezioni uscite come prime analisi del voto da parte dell’entourage di Renzi sono state “scandalizzanti“. Invece di interrogarsi sulle proprie responsabilità – nel bene o nel male ben più importanti di una minoranza interna che pur non ha mai smesso di criticare il segretario – si è tentato di lasciar passare il messaggio di come la colpa sia stata della poca innovazione espressa, di quello spirito della rottamazione non più alimentato come nel passato. Per fortuna però verso la direzione nazionale di venerdì 24 Giugno l’analisi pare che si stia facendo più riflessiva, più rivolta verso gli errori commessi dalla propria gestione e guida politica. Riconoscerlo è essenziale, non per far ridere sotto i baffi attori politici come D’Alema, Bersani e Prodi, veloci a rimarcare (giustamente?…) il voto come prova delle critiche espresse da sempre, ma per imprimere la svolta necessaria per evitare un disastro elettorale ben più grave, cioè la sconfitta nel referendum confermativo sulle riforme costituzionali di Ottobre. Perdere anche in quella occasione vorrebbe dire non solo la fine della leadership di Renzi, ma anche la devastante constatazione di aver perso due anni e mezzo di stagione riformista, relegando il necessario superamento dell’assetto istituzionale italiano in un futuro remoto e riportando il Paese nella palude dalla quale il segretario-premier del Pd aveva promesso di trascinarlo fuori.

Non cambiare la rotta immediatamente, non capire il valore profondo di questo voto, non sarà quindi solo un problema per il destino del Partito Democratico, produrrà invece una crisi politica nazionale ed europea i cui contorni sono difficili anche solo da immaginare.

Unità e collegialità sono le parole, ma soprattutto le strade, che possono salvare la situazione. Solo un Pd unito, corresponsabile nel suo insieme delle scelte politiche da prendere su due fronti – legge di bilancio e campagna referendaria – potrò consentire di raddrizzare una situazione diventata complicatissima. Renzi ed il Pd dovranno compiere scelte per spezzare il Fronte del TTR (tutti tranne Renzi) e riportare nel merito la discussione sulla riforma costituzionale. Questo vuol dire stoppare la deriva plebiscitaria promossa proprio dal Premier, presentare il disegno di legge attuativa per l’elezione diretta dei nuovi senatori espressione di Regioni e Comuni, aprire la discussione per dei cambiamenti precisi della legge elettorale Italicum come i collegi plurinominali e la possibilità di un apparentamento tra liste diverse nella fase di ballottaggio.

Tutto ciò potrebbe sembrare una sconfessione del renzismo, ma il voto questo segnale ha voluto esprimere ed esige delle risposte adeguate. Il destino del Paese è molto più importante dell’egoismo di pochi uomini oggi al potere.

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