Governo

Non ora, non così, perché la riforma costituzionale Meloni non serve

3 Novembre 2023

Niente da fare, le riforme istituzionali sono da qualche decennio il mausoleo che tutti i leader politici italiani aspirano a costruirsi non appena hanno un briciolo di legittimazione. A differenza di quello di Augusto nella foto però, i mausolei che sinora i leader si sono costruiti hanno fatto più che altro la fine degli ecomostri, partiti con grande fanfara e poi abbattuti con la vanitas di chi li aveva immaginati (la lista, dalla Bicamerale a Renzi comincia ad essere lunghina).

Ora, come se non avesse già abbastanza di cui occuparsi, tra gestione dell’ordinario che ormai è sempre straordinario ed evidenti buchi nello staff, anche Giorgia Meloni ha presentato al cospetto degli italiani il suo proprio progetto di Taj Mahal, con tanto di statua equestre all’ingresso (ovviamente con le quattro zampe a terra, a indicare la, lontanissima, morte naturale della persona in effigie). È una turbo-riforma, con lo scopo, sempre quello, di evitare i ribaltoni e rafforzare le maggioranze politiche emerse dall’elezione e il risultato di consegnare il Paese in ostaggio ai vincitori delle elezioni e in generale alla politica, impedire un futuro Draghi, non risolvere i problemi che sono, stavolta ci sta, ben altri. Non faccio, per difetto di titolo, un’analisi da costituzionalista, mi limito a mettere in fila qualche ragionamento da umarell che osserva i cantieri della politica.

Lo storytelling per cui al Paese servono governi stabili è, nel migliore dei casi, parziale: certo che servono governi stabili, ma per farli serve soprattutto un sistema politico composto da forze meno liquide, che ad esempio non evaporino nello spazio di una legislatura, e da leader più responsabili, che semplicemente sappiano controllare essendo in maggioranza il livello di dialettica interna alla coalizione. Prendere questi leader, fargli allargare ulteriormente la coalizione per incamerare voti utili a prendere il 55% e sigillare il Parlamento significa creare una pentola a pressione in cui alla fine ognuno farà e dirà quel che vuole, tanto per cinque anni nessuno li caccia. Se l’attuale Premier fosse stata eletta con questo sistema e regnasse semi-inamovibile (serve un parlamentare della coalizione) avremmo un Governo più coeso ed efficiente o semplicemente non potendo divorziare i coniugi si farebbero le peggio porcherie? Propendo per la seconda ipotesi, non solo per la maggioranza in carica ma per qualunque maggioranza fatta di questi partiti che esprimono questi leader.

Senza aver ristabilito i propri meriti, anzi nemmeno il proprio ubi consistam, con questa riforma la Politica non solo mena un fendente al suo, e solo suo, personale dramma del “ribaltone”, ma si sbarazza anche del secondo, ben più concreto, babau: il governo tecnico, reso costituzionalmente impossibile. Ora io non amo punto i governi tecnici, come non amo gli interventi chirurgici e le iniezioni, ma similmente essi sono stati cure necessarie (e non sufficienti) per mali lungi dall’essere stati debellati. Per capirci: con la riforma Meloni, non ci sarà un altro Draghi e se dovessimo trovarci (Dio non voglia, ma forse purtroppo il rischio ci potrebbe ipoteticamente essere) in una condizione come il 2011 il Capo dello Stato non potrebbe chiamare nessun salvatore della Patria e garante dei Mercati. Ci si deve tenere chi c’è, anche se gli investitori istituzionali che hanno in mano il nostro debito si grattano alla sua sola vista, prendersi un parlamentare della stessa maggioranza, o andare a votare, noto toccasana per lo spread.

Non si elimina, pare, il CNEL (la Premier gli deve un favore), ma si eliminano i senatori a vita, e vabbè. La sensazione è complessivamente quella di una guazza cucinata nel chilometro quadrato scarso dei palazzi romani della politica. Per qualcuno è un ballon d’essai, o arma di distrazione di massa, per impegnare le migliori menti della mia generazione in estenuanti dibattiti che li sviino dal giudicare il merito del Governo e probabilmente è anche un po’ così, ma è soprattutto due altre cose.

È il bisogno spasmodico, infantile, di eternarsi in un mondo, la Politica, dove si passa flaianamente da giovane promessa a solito stronzo in ben meno di una legislatura e praticamente nessuno diventa venerato Maestro. La seconda, altrettanto infantile nella sua autorefenzialità, è l’idea che la Politica sia così importante e che i leader stessi siano così solidamente amati, da poter pensare di cementarsi al potere per il bene del Paese. Povere stelle, loro che si pensano così importanti e noi che ce li abbiamo mandati.

Credo, e anche molto spero, che il Mausoleo dei mausolei delle riforme costituzionali farà spazio a quella Meloni a fianco delle precedenti, molte anche migliori della presente.

Si torni a governare che il lavoro non manca, per le statue equestri c’è tempo e quelle auto-erette di solito fanno una pessima fine.

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