Governo
No alla tassa su Salvini
Credo di essere stato tra tutti i brains de Gli Stati Generali forse il più duro nelle critiche a Matteo Salvini. Non sono mai stato comunista nemmeno nella ultima declinazione dell’incontro nel PD con il cattolicesimo di sinistra. E ho sempre visto a destra il peggio che gli italiani possano produrre per farsi del male, non essendo mai riusciti ad essere né moderati né conservatori, solo anestetizzati dal centrismo democristiano e dalla infatuazione berlusconiana vista come un sicuro porto contro la minoranza non sempre sconfitta del centrosinistra.
Non ho mai considerato Salvini e il suo progetto di Lega Nazionale un prodotto politico ma una epifania cruda della pancia, potenzialmente senza un limite di degrado. Un politico produce una proposta intorno alla quale costruire pazientemente con un po’ di demagogia e un po’ di pedagogia il consenso: Salvini no, Salvini è, era, il riflesso culturale non mediato di “ciò che gli italiani vogliono”, non il racconto del disagio ma il poster istantaneo della rabbia che disprezza la Ragione. Non ha mai presentato un programma di governo attendibile su cui chiedere il voto: ha dato forma fisica tangibile, con il suo corpo esposto mediocremente nudo in spiaggia o zelig nelle divise delle forze dell’ordine, al rancore del Nord sulla questione fiscale a alla storica mancanza di senso dello Stato della sua borghesia produttiva: strepitosi innovatori, direi rivoluzionari in azienda, desolanti a ragionar di cosa pubblica; insostituibili perché rischiano in proprio in un Paese che scarica sugli altri ma incapaci di tradurre questa potenza spaventosa in una modernizzazione sociale del Paese. Ma capace, il Salvini; di parlare anche a gran parte del Sud sulla Immigrazione dove il nero è un concorrente al ribasso nel salario in nero. Non ha mai avuto una idea sulla gestione degli sbarchi e degli immigrati alternativa a quella del centrosinistra, ha semplicemente fatto ciò che urlava il Paese e cioè chiuso i porti perché il nero è stupratore e infedele; sono i nemici esterni, Bruxelles, che impediscono la riduzione fiscale. Il sacro rosario non è solo una identità ma è ciò che ci può salvare da tutto ciò che pare contro e più forte di noi e al sacro per questo da millenni istintivamente ci raccomandiamo.
Non c’è nulla di politico in questa narrazione, c’è una pancia disperata, senza guida e insofferente. Una pancia da psicanalisi che al Nord urla contro gli immigrati e bestemmia contro il decreto flussi che non garantisce manodopera.
Questa è la straordinaria modernità di Salvini: l’aver rinunciato ad essere un politico che ha a che fare con il governo e vestire i panni del Potere come elemento istantaneamente salvifico, le Emozioni al potere rispetto alla inanità della Ragione. Salvini non è un prodotto di Morisi ma un fenomeno da neuroscienza applicata alla politica; quando nel 2007 Drew Westen pubblicò “La Mente Politica: il ruolo delle emozioni nel destino di una nazione” (ilSaggiatore, 2008) mi dissi che l’analisi era raffinatissima ma adatta solo ai miei amici americani. Sbagliai e di brutto, la sua rilettura in questi mesi ha archiviato la mia fede nei Lumi, a dire il vero mai splendenti nel Belpaese, nonché qualsiasi speranza che nasca qualcosa di “nuovo” nella offerta politica in grado di farmi votare per interesse, per vocazione, per convinzione e non per pancia: vincono le Emozioni ed esse hanno a che fare con quanto di più profondo sta nelle voragini dell’anima: l’istinto di sopravvivenza anche a costo altrui, il trionfo emotivo sulla caduta delle ideologie. Un disastro.
Per questo ho considerato Salvini un pericolo, considerandomi un liberal, perché non avendo mai visto nell’antifascismo la legittimazione delle mie idee ma solo nella Libertà non ho alcuna remora a dire che il discorso di Pescara, la rivendicazione dei pieni poteri, la necessità di ordine e disciplina per l’Italia, le divise di polizia dalle quali un politico dovrebbe stare mille miglia lontano, l’esposizione ostentata del corpo sul bagnasciuga che ricorda i Due Corpi del Re di Kantorowitz sono tutte manifestazioni di autentico fascismo, cioè di quello stato d’animo del “fare” che nulla ha a che fare con la politica. La stessa declinazione della Democrazia come “voto popolare” con cui certificare il consenso e legittimare il potere e non come libertà di parola con la quale costruire il consenso espone al rischio della negazione delle libertà (la autentica accezione di democrazia ateniese è la libertà di parola: nell’epica omerica pre ateniese anche Agamennone fece votare sulla guerra a Troia ma Ulisse riempiva di legnate il suo commilitone cha aveva osato parlare nel consesso senza la sua autorizzazione).
Bene, se a tutto questo e a carissimo prezzo abbiamo posto rocambolescamente e per Hybris altrui un temporaneo rimedio lo stesso rimedio rischia di essere un disastro. C’è una cosa che per certo il Governo Conte o chi per lui non dovrà mai fare pena una ruina polverosa senza limiti: introdurre nuove tasse anche giustificabili con lo stato dei conti ma inaccettabili non solo dalla pancia ma anche dalla Ragione. Si arrangi, tagli il bilancio, rinvii le spese, blocchi i meccanismi folli di quota 100 ma non venga a venderci un “riequilibrio del peso fiscale” tra ceti sociali perché questo innescherebbe una autentica rivolta. Vuole farci sognare? Metta quattrini per investimenti che sono la traduzione in bilancio della fiducia sul futuro; stringa gli altri cordoni ma per carità non ci faccia pagare una tassa per averci liberati da Salvini: significherebbe riconsegnare alla peggiore e più pericolosa delle culture politiche il futuro immediato del Paese.
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