Governo

Niente legge sulla lobby ma ci sono interventi alternativi

6 Settembre 2015

Forse ci siamo sbagliati. Forse in questo Paese tocca essere un po’ meno diretti nell’affrontare il tema della regolamentazione della professione di lobbista. Cinquanta e passa disegni di legge presentati lungo tutta la storia repubblica del nostro paese non sono, infatti, bastati per avere una norma, un articolato di legge, nulla di nulla che dica che la lobbying è un’attività utile al processo democratico di ideazione, scrittura e implementazione di una legge. Erano forse tentativi troppo ortodossi. Troppo simili a quanto succede a Washington o a Brussels. Troppo facili da copiare.

Non importa. Non ci interessa più. Ce ne faremo una ragione. Perché se è vero che ci sta a cuore vedere riconosciuta una professione per cui molti di noi hanno dedicato anni della loro vita, è pur vero che ci interessa di più la battaglia per la trasparenza e per avere delle condizioni che ci permettano di lavorare meglio. Meglio per noi stessi, meglio per i clienti. Meglio per il nostro Paese.

Proviamo allora a delineare alcuni (semplici ancorché parziali) interventi che possono essere implementati facilmente e velocemente.

Esistono degli snodi chiave nei processi legislativi democratici: la nascita della consapevolezza della necessità di una legge, la stesura del testo base, il lavoro di modifica di questo testo durante il dibattito parlamentare.

Primo snodo. Le leggi in questo Paese derivano tutte (salvo rare eccezioni) da un’iniziativa governativa. Sono, infatti, anni che il Parlamento non riesce ad approvare testi di legge che nascono nelle sue commissioni. Quindi l’agenda dei provvedimenti da adottare viene fissata dal governo e, con la premiership di Matteo Renzi, direttamente da Palazzo Chigi. Sulla definizione dell’agenda politica le lobby hanno certamente un ruolo (possono sollevare direttamente il tema con il governo, possono costruire campagne di sensibilizzazione, azioni di advocacy o animare il dibattito sui media) ma è meno diretto, più legato ad azioni visibili al pubblico (convegni, comunicato stampa, dichiarazioni pubbliche, etc.) in grande parte già di per sè verificabili. In questa fase, quindi, la trasparenza dell’operato delle lobby non sono un problema (o quasi).

Il secondo snodo è la stesura del testo base di una legge. E’ un compito tradizionalmente affidato agli apparati burocratici dei ministeri, di solito composti da consiglieri di stato di lunga esperienza. E’ un compito che viene svolto “nel chiuso” dei loro uffici, senza apparente interazione con le lobby ma supportato dal lavoro preparatorio di “tavoli tecnici” che si instituiscono all’interno dei ministeri e i cui lavori avvengono con la supervisione e indirizzo di figure pubbliche (di natura politica e/o amministrativa). Davvero niente lobby? Beh, “ni”. Perché, intendiamoci, è in questa fase che il lobbista efficace può fare la differenza: se il testo base contiene l’articolato normativo che gli interessa, se lo “spin” è già quello voluto… il risultato è quasi ottenuto.

Qui si deve intervenire e lo si può fare in modo semplice. Per ogni progetto di legge in fase di studio e scrittura si deve identificare (e lo si può fare rendendelo trasparente nei siti internet dei ministeri interessati) il responsabile del provvedimento; l’esistenza di un eventuale tavolo tecnico di lavoro, i suoi componenti e almeno gli ordini del giorno che ne scandiscono l’attività; i nomi dei consulenti che vengono utilizzati. E questo oggi non avviene. Quindi, su ognuno dei progetti di legge la lobby che decide di svolgere un’azione di informazione e pressione deve obbligatoriamente registrarsi indicando il proprio position statament. In poche parole rendere pubblico il proprio interesse e le finalità che persegue. Tale registrazione garantisce la possibilità di ingaggio. Senza registrazione è, invece, vietata qualsiasi forma di contatto con i soggetti istituzionali che sul provvedimento effettivamente stanno lavorando. La registrazione non da comunque diritto ad essere ascoltati, perché la scelta se aprire o meno il confronto con gli interessi di parte rimane della politica. Come è giusto che sia (forse). E la difesa di tale primato dovrebbe scongiurare proprio una delle cause perché una legge sulla lobby non è stata mai votata.

Il terzo snodo è il lavoro di modifica della legge e la sua approvazione a livello parlamentare. Oggi, teoricamente, il processo di ingaggio tra lobby e commissioni parlamentari è codificato dallo strumento delle audizioni. Sono pubbliche. Permettono ai portatori di interessi particolari di esporre i propri interessi e ai parlamentari di farsi un’idea articolata del problema. Però le audizioni non sono l’unico strumento che le lobby utilizzano. Chi vuole davvero incidere lavora soprattutto con incontri one to one a porte chiuse. E questi incontri è impossibile (difficile?) renderli trasparenti e pubblici. Quindi?

Quindi si dovrebbero implementare gli stessi interventi che abbiamo individuato durante il momento di scrittura della legge. Per ogni disegno di legge, o decreto legge che sia, deve essere identificato: il relatore (già accade), e deve essere obbligatoria la registrazione delle lobby che vogliono rappresentare presso il Parlamento i propri interessi. Vale la regola di cui sopra: l’iscrizione permette l’ingaggio con i parlamentari, senza la registrazione onorevoli e senatori non dovrebbero accettare nessuna richiestra di incontro. I siti internet di Camera e Senato già hanno pagine dedicate ai singoli provvedimenti. Rendere pubblico questo processo di registrazione e, ancora una volta, le posizioni delle parti coinvolte non sarebbe dunque difficile.

Il legislatore potrebbe implementare questi pochi interventi senza ricorrere ad una legge sulla lobby. Lo potrebbe fare velocemente. Si creerebbe da subito una cultura della trasparenza, si darebbe maggiore pubblicità ai lavori “dietro le quinte” rendendoli più verificabili e quindi maggiormente efficaci. E, in più, i “mini registri” dei singoli provvedimenti potrebbero poi sfociare nel vero e proprio registro dei lobbisti. Il passo sarebbe breve, mancherebbe solo una legge che ne vada poi a definire doveri e diritti.

Rimane da capire chi sia il lobbista che si deve registrare. E’ una questiona annosa. Personalmente non ho dubbi. Tutti coloro che difendono un interesse specifico, anche sindacati, sistema confindustriale, le ong. Tutti. Come accade a Brussels. Sono tutti lobbisti, tranne i rappresentanti istituzionali. Semplice no?

Lo si può fare in poche settimane. “Fàmolo” direbbero a Roma.

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