Governo

La solita Italietta della raccomandazione

18 Marzo 2015

Ora che il quadro inizia a delinearsi, emerge un fatto evidente: il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, si è fatto interprete dell’Italia più profonda, quella del “tengo famiglia” e del “devo sistemare mio figlio”.  Le telefonate e il giro di mail – con curriculum vitae allegato e frasi tipo «è un bravo ragazzo» – non sono nulla di eclatante. Queste sono le storie di tutti i giorni, che magari vediamo passare al nostro fianco con capetti arroganti nel ruolo di protagonisti. L’unica differenza è che, nel caso specifico, la questione è finita sui giornali perché i nomi riguardano politici di rango e dirigenti super potenti.

Le caselle mail sono piene di “bravi ragazzi” che cercano lavoro in un’azienda, ma poi come è noto il percorso di studi e le esperienze lavorative finiscono per essere marginali. Un cognome e una sponsorizzazione pesano di più rispetto al talento in un determinato settore e al tempo speso nella formazione. Ci sono ambiti professionali in cui il lavoro viene tramandato come se ci fossero delle vere e proprie dinastie. Davvero siamo convinti che è sempre frutto di una adeguata preparazione?

Ma negli articoli che descrivono il caso Lupi con dovizia di dettagli, non noto alcuna dirompente novità rispetto all’Italia quotidiana, a dimostrazione che la divisione tra Prima e Seconda Repubblica è un’operazione artificiosa, utile per storici e giornalisti. Ma il metodo non è così diverso: la raccomandazione sembra non conoscere passaggi di Repubbliche. Forse rispetto al passato della Prima Repubblica assume un’altra denominazione, si dice segnalazione o “sollecito a valutare un curriculum” (provo a inventare).

Perciò l’indignazione che monta sui social mi sembra ammantata di ipocrisia, perché in fondo siamo parte integrante di quell’Italietta. Di fatto la conosciamo in maniera diretta. Ammetto che mi è capitato – non di rado – di sentir dire “Io quello non lo voto più (riferito a un politico, ndr), perché non ha fatto niente per me e per la mia famiglia”. Una frase che è il perfetto condensato del ‘caso Lupi’, in quanto trasuda la frustrazione per non poter usufruire di benefici particolari dal politico e dal potente di turno.

Questo discorso, ovviamente, non vuole assolvere la condotta morale (dal punto di vista giuridico nemmeno si pone la questione, visto che non è indagato) di Maurizio Lupi. Un ministro della Repubblica dovrebbe cercare di essere di esempio (sì, è una posizione da illusi, ma diciamo che è un ideale verso cui tendere) ai cittadini, senza incarnare i difetti di un popolo. Invece Maurizio Lupi ha ceduto al suo essere “mediano“, perciò dovrebbe rassegnare le dimissioni. Eppure, tutta questa vicenda deve sollevare una domanda in tutti noi: siamo sicuri che non avremmo cercare di “dare un mano” al nostro “bravo figlio”, sicuramente preparato e meritevole di adeguate occasioni?

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