Governo
Morte di un contratto: un’analisi giuridica della situazione politica
Quanto sta succedendo alla politica italiana è tutto fuorché una serie di incidenti fortuiti. Certo, la vita parlamentare gode del fascino della diretta, che rende matrimoni politici, segreti indicibili ed accordi spezzati talmente emozionanti da tenere i più incollati agli schermi. Le prospettive da cui si sta studiando questa crisi di governo sono molteplici: la si può scrutare guardando al passato, al futuro, da Nord o da Sud, da destra, da sinistra o, qualcuno potrebbe sostenere, da una prospettiva squisitamente grillina e difficilmente categorizzabile.
Un punto di vista controintuitivo è quello giuridico, inteso non in senso stretto (delle norme giuridiche), bensì in senso lato (del giurista). Sebbene proprio il Presidente del Consiglio uscente (se tale si confermerà essere) sia del mestiere, l’occhio del giurista sulla politica rimane percepito ancora oggi come, sì, vigile ed esperto, ma notoriamente tecnico, freddo, talvolta incomprensibile, potenzialmente complice. Inutile biasimare, per una birra a fine giornata e due chiacchiere sullo stato del Paese è difficile che si chiami l’avvocato.
Eppure, il giurista è allenato a sgrovigliare complesse relazioni di fatti e persone. Come sintetizzava Calamandrei, dopo aver osservato e partecipato per decenni alla vita delle Corti italiane: l’avvocato è campione dell’interrogatorio, il giudice dell’ascolto. Posto davanti ad una situazione complessa, il giurista cerca punti fermi: documenti ufficiali, prove, alibi, testimoni, ma anche definizioni e princìpi di legge, requisiti, termini. Quali i punti fermi, in una crisi di governo? La storia di un’istituzione e dei suoi membri, i punti programmatici di un partito, i tratti caratteristici di un esponente politico, i risultati elettorali, i sondaggi…
Raccolti questi appigli, compito del giurista è quello di tessere la trama logica per giungere alla verità. Ora, si sa che la politica ha ben altra ed egualmente onorevole ambizione: arrivare alla decisione normativa (e, per questo, è bene che un Parlamento non si comporti da tribunale e che i tribunali non si atteggino a Parlamenti). Tuttavia, nonostante i fini differiscano, l’esercizio del giurista ha un valore, si direbbe, metodologico, una ricetta per vederci più chiaro ed evitare di rimanere aggrovigliati nelle tortuosità del dubbio, dell’immagine, della quantità e velocità dell’informazione, della falsa informazione.
Indossando le lenti del giurista, si vede chiaramente che l’idea di contratto di governo è un ibrido problematico, un non-istituto (sicuramente non un istituto giuridico, ma neanche un istituto politico in senso stretto), un Minotauro che vuole richiamare, eppure non ricadere nelle sfere di diritto pubblico e privato. Un contratto prevede clausole di non conformità e recesso, garanzie essenziali per entrambi le parti, senza le quali nessuno dei contraenti si sentirebbe tranquillo nel firmare (la firma, altro elemento clou se si guarda alla politica italiana degli anni Novanta dalla prospettiva del giurista). Un governo, all’opposto, seppur di coalizione, trova le parti volenterose di entrare in accordo perché spinte dalla legittimazione elettorale.
Ciò nulla toglie all’importanza della comunicazione e del valore evocativo delle parole. “Contratto di governo” trasmette efficacemente l’idea di un accordo ufficiale, un impegno serio, la persuasione della parola data. La vita politica è necessariamente costellata da epiteti di ogni sorta. Verrebbe da chiedersi cosa sarebbe la poesia senza figure retoriche e cosa sarebbe la politica senza metafore. L’obiettivo comune, fuori e dentro l’istituzione, è quello di non perdersi nel linguaggio, usarlo ai fini – e non per il deragliamento – della politica, quella “buona”. Il giurista, per quanto limitato nella sua prospettiva soggettiva, è portato a riconoscere le strumentalizzazioni dannose della comunicazione, il suo occhio le percepisce sotto la sfumatura allarmante del mancato nesso logico. A questo, forse tutti, compreso il giurista, dovremmo imparare a dedicare più attenzione, magari dando una chance per una una birra a fine giornata anche all’avvocato del quartiere.
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