Governo
Mica facile sfasciare il Paese
Che non sia facile risanare il Paese è cosa che abbiamo imparato sulle nostre tasche. Ma che fosse difficile sfasciarlo è la esperienza che sta vivendo un governo la cui forza politica sta nell’obbiettivo sovranista, cioè nel recupero delle potestà fiscali, di bilancio e di batter moneta. Non esiste un sovranismo dolce, esiste solo la possibilità di arrivare attraverso strumenti illegali a recuperare quanto con la firma dei trattati si è delegato ad altri e, se è illegale, farlo è possibile e forse più facile solo in momenti di grande emergenza. In parole povere, io non ho dubbio che la volontà ultima del governo sia creare le condizioni per uscire di sicuro dall’Euro e dall’Unione forse, ma da “questa” Unione di certo. Arrivarci però non è facile nemmeno per degli sfasciacarrozze di professione.
Lasciamo stare il terrificante balletto di cifre sul Def, fermiamoci agli eventi. Il reddito di cittadinanza è una chimera perché o si fa come riporta Paolo Fusi in questo articolo degli Stati Generali o se richiede una analisi da parte dei Centri per l’Impiego dobbiamo dare per scontato data la loro miserevole condizione che ci vogliano almeno un paio di anni per metterli in condizione di funzionare decentemente: un paio di anni con la coda di gente fuori dallo sportello a chiedere urlante i 780 euro per poi scoprire che non ne ha diritto perché trattasi di un adeguamento nell’importo di un provvedimento esistente, solo complicato dalle minacce penali e dalle tessere annonarie: come dire, forconi in vista. Sulla riforma fiscale hanno già steso un velo perché la quota di applicazione a 75.000€ riguarda una platea di contribuenti irrisoria ed è, e due, un innalzamento della soglia della legislazione vigente ora a 50.000€ con tanti, cari saluti al Nordest. Il condono ha avuto un pregio, il fare emergere che esistono 20.000.000 di procedimenti aperti per un totale di più di 800mld di tasse “da incassare”: due cifre pazzesche sulle quali ognuno può fare i suoi ragionamenti ma che di certo sanciscono la assoluta impossibilità di fare un condono che intacchi lo stock di capitale, perché la sua svalutazione non sarebbe priva di conseguenze sul bilancio dello stato, e che di conseguenza affida la manovra di condono ai soli interessi, cioè anche in questo caso e tre, una riproposizione delle “rottamazioni” già esistenti.
Rimane la Riforma Fornero che allo stato attuale, e in assenza di sbarchi di immigrati o di aerei che ce li restituiscano dalla Germania, è l’unico goal di Salvini che questa sì sfonderà i bilanci nel tempo ma produrrà dal 1 gennaio 2019 un bel pacco di voti.
A latere dei quattrini ci stanno le questioni di metodo. Il sindaco di Genova Bucci, commissario straordinario per il ponte, sta certamente recitando tutte le possibili giaculatorie. Che il decreto “fatto col cuore” avesse bisogno di immediato trapianto ed estesa chirurgia cardiovascolare nonostante il lungo travaglio e un parto cesareo era cosa nota; che per quanto straordinario nella emergenza il Commissario dovesse comunque rispettare una serie di norme sugli appalti, i tempi della magistratura e degli organi preposti alle approvazioni col rischio che quelli non in coda per il reddito di cittadinanza ma per passare da una parte all’altra della città scegliessero comunque i forconi per spiegare le loro buone ragioni era altrettanto noto. Ma che si aprisse un confronto “franco ma non cordialissimo” con l’Autorità anticorruzione su possibili infiltrazioni mafiose con il ministro dell’Interno schierato su altra barricata ha disorientato in primo luogo i giustizialisti in Parlamento e fatto capire che per ora si cerca una passerella che eviti Tar e corti di assise, per il ponte si vedrà.
Da ultimo, la guerra per bande: Salvini è solido al comando dei suoi perché la Lega notoriamente fa fuori i dissenzienti in modo più efficiente di quanto sapeva fare Berija e perché al dissenso interno che gli batte sulle spalle può voltarsi e dire “ma quando ve lo sareste mai sognato il 30% che vi ho regalato?”. Diverso è il discorso per Di Maio che scivola più sui congiunti stretti che sui congiuntivi: inutile citare Fico, il Dibba e Beppemao nonché la ditta licenziataria del software: ognuno attende il suo momento per salvare il movimento che in caso di mancato sfascio si avvicina.
Ma siamo proprio sicuri che lo sfascio sia dietro l’angolo? Poniamo, per puro esercizio tecnico, che le autorevoli salite al Colle di quelli che fanno politica senza candidarsi (cit.) avessero come obbiettivo quello non di affondare il governo ma di tenerlo lì perché non vi sono alternative all’orizzonte. Poniamo che una opera di moral suasion suggerisca alle agenzie di rating di aggiornare la posizione dell’Italia un po’ più in là, magari dopo la discussione con l’Unione. E poniamo che la Commissione non sia quel diavolo di un Belzebù che tanto piacerebbe al Governo e che i mercati si divertano a fare affari con speculazione di breve su uno spread ballerino ma non tanto ma a fronte di rendimenti dei BTP non ballerini ma più elevati. Poniamo insomma l’ipotesi che ci sia sì una congiura demopluto etc ect ma che il suo obbiettivo sia di lasciare il governo dove sta e non mandarlo a casa: ecco, allora sfasciare il Paese sarebbe più difficile che spegnere il microfono a Tria e a sfasciarsi forse sarebbe qualcosa d’altro. Chissà….
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