Governo
Meloni sotto assedio? No, ma ritorna la palude. E non è una buona cosa
E quattro, la storiaccia del figlio di La Russa, così apparentemente simile alla storiaccia del figlio di Grillo, fa salire ancora il conto degli esponenti del Governo e della maggioranza di Destra incappati in guai giudiziari. Siamo a quattro (ovviamente il Presidente del Senato non è direttamente indagato, ma ha gestito la cosa, già di per se non nuova ma assai poco unstatesmanlike, così male da lasciare basiti e preoccupati essendo lo stesso “one heartbeat away” dal Quirinale), con genesi e tipologia di reati contestati che non fa pensare, come ha prontamente dichiarato Giorgia Meloni, a un assedio.
C’è dentro una sottosegretaria troppo disinvolta con i rimborsi da consigliere regionale, un sottosegretario che non ha capito che le carte riservate sono riservate, una ministra impicciata coi buffi. Non dovrebbe capitare ma capita, soprattutto se hai la panchina corta ed evidentemente non hai fatto tutto il lavoro di vetting e selezione della classe dirigente (Delmastro ha compiuto uno stupido atto politico, Montaruli e Santanché anche i sassi sapevano che avevano problemi), imbarcando per pagare cambiali politiche e per un po’ di hubrys anche chi doveva restare a terra. Io che sono garantista radicale, e ho smesso di credere all’obbligatorietà bendata dell’azione penale prima che a Babbo Natale, penso che se non si può parlare di assedio, è certamente terminato il grace period dei rapporti tra maggioranza e magistratura, tradotto, siamo tornati nella palude nella quale stiamo con le chiappe e non solo a mollo dagli anni ’90. Non è per niente una buona cosa.
Politica e magistratura, valori e crimini, arravogliati producono solo scorie, che alla fine ammazzano la politica. Nemmeno un monocolore degli Avengers riuscirebbe a stare in piedi se dovesse continuare questo livello di scontro, con tutto il suo percolato di retropensieri (“ci attaccano perché vogliamo fare la separazione delle carriere”, “volete separare le carriere perché volete tagliare le unghie alla Giustizia”) e cattiva stampa partigiana, in cui sono tutti Falcone contro Scilipoti o Matteotti contro Carnevale. Tutto mentre, quando si dice la fortuna, un Governatore della Banca d’Italia è appena andato in pensione…
Lo scontro significa delegittimazione, indebolimento, ripiegamento. Allora addio riforme, anche quella, che a me piaceva assai, di Nordio sulla Giustizia, e addio voce in capitolo in Europa. Chi si contenta di poco e vede il Fascismo anche in Pino Insegno alla RAI sarà magari contento, la Marcetta su Roma è stata fermata al Po. Io non lo sono per niente.
Vorrei che Meloni governasse per il tempo che la democrazia consente e che venisse giudicata per quello che ha fatto ed eventualmente per la qualità dell’offerta delle alternative (che hanno ripreso a fingersi morte come gli opossum, aspettando che chi è in sella cada senza prepararsi minimamente a succedergli), senza scorciatoie, panciotti tecnici, scuse, per nessuno.
Ché la democrazia è una cosa seria e ad ogni giro perso non rimane ferma, si consuma un po’, dunque non si devono perdere i giri.
I Ministri non devono essere impicciati con i buffi, il Presidente del Senato non può parlare da padre, la maggioranza deve riunirsi in conclave e fare quelle cose tipo “chi ha qualcosa da dire parli ora o taccia per sempre”, smettendo questo gioco demente di rivolgersi sempre alle curve per il supporto più stolido e acritico. Al contempo l’opposizione deve intervenire su atti politici con considerazioni politiche e la Magistratura essere consapevole delle sue responsabilità. Ci sarebbe anche la stampa, ma lì è inutile.
Nella palude ci stiamo tutti e mentre guardiamo con gusto l’avversario che affonda non ci rendiamo conto che anche noi stiamo andando un po’ più giù. Per regolare i conti ci sono le elezioni.
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