Governo

L’ombra lunga del “cambiamento”

28 Ottobre 2018

C’è molto che non va nel mondo della scuola. E, si sa, la scuola è lo specchio della società, il banco di prova della tenuta politica di un intero Paese.
Occorre svecchiare la scuola. Rinnovarla. I docenti non riescono a misurarsi con i nuovi modi di apprendere dei cosiddetti “nativi digitali”.
Vale la pena, dunque, passare in rassegna le proposte che l’attuale politica di maggioranza ha in cantiere.

– Regionalizzare la scuola: una devolution che la cambia, certo, la scuola. La “snatura” nei programmi, nelle risorse economiche, nella selezione del personale; è un primo passo verso soluzioni federalistiche che, a ben guardare, però, contraddicono persino il senso stesso del pure tanto apprezzato organo panoptico dell’ INVALSI, ente che si arroga il diritto di una valutazione “nazionale” del sistema scolastico.

– Semplificare gli apprendimenti attraverso un costante filtro tecnologico che sacralizza l’uso delle piattaforme didattiche, delle learning app, punta all’acquisizione delle competenze pratiche – “il saper fare” – a scapito del “sapere” stesso. Ne consegue un invito all’impostazione ludocentrica della didattica perché si arrivi alla “soluzione finale”: eliminare tutto ciò che riguarda il senso gramsciano dello studio come mestiere che implica anche sacrificio e fatica.

– Incremento e incentivazione della competizione darwinistica tra scuole, nell’ingenua convinzione che la pubblicizzazione e la spettacolarizzazione, anche attraverso i social, di tutto ciò che le scuole fanno soprattutto fuori dalle aule scolastiche – che tuttavia restano il luogo prioritario in cui si snoda il percorso del sapere – sia sinonimo di qualità e spessore culturale.

– Promuovere movimenti di opinione a favore dei saperi tecno-pratici – propagandati come i soli utili per il futuro professionale e per il successo nel mondo del lavoro – con conseguente svilimento del senso stesso del pensiero astratto e della dimensione umanistica della cultura, rappresentata come superflua, inutile per il mercato del lavoro. Si tratta di un passo significativo verso la costruzione di una società senza anima, anaffettiva, monadistica.

– Affidare la comunicazione a tweet epifanici, dichiarazioni veloci, ambigue, alle quali seguono generalmente rettifiche e smentite; pubblicare “documenti di lavoro” (come quello che modifica le tipologie della prima prova dell’Esame di Stato) che fingono indicazioni operative e lasciano i lettori nel vago e nell’incoerente mare magnum del profluvio informativo e del vuoto esplicativo.

– Diffondere nell’immaginario collettivo l’endemica percezione dell’urgente difesa di una cultura nazionale, di una lingua nazionale, di un’identità nazionale, al punto da indirizzare persino l’Esame di Stato verso il recupero del passato risorgimentale, della fase storica dell’Unità, quando si sa che i programmi dell’ultimo anno sono orientati alla conoscenza consapevole dei problemi della contemporaneità. È, poi, un paradosso rilanciare il valore di una cultura nazionalistica proprio ora che il senso dell’unità nazionale sta cedendo il passo – come si è detto – a politiche federalistiche.

– Incrementare un clima di sfiducia verso il mondo della scuola, proponendo l’uso delle webcam di sicurezza piuttosto che figure di supporto “umano” (psicologi, pedagogisti) in grado di dare alla scuola quell’impeto costruttivo e quello slancio formativo utile a rianimarne i settori in sofferenza.

– Fingere di cambiare e lasciare tutto gattopardescamente in una stagnante palude: dichiarare di voler ridimensionare l’alternanza scuola-lavoro e rilanciarla, invece, come oggetto di discussione del colloquio all’Esame di Stato, che cosa vuol dire? Eliminare i test Invalsi come requisito d’accesso all’Esame di Stato, ma specificare, poi, che tali prove andranno comunque svolte a marzo 2019 dai candidati all’Esame stesso, che cosa significa? Scegliere l’ambiguità come modus procedendi ha qualcosa di trasformistico, di giolittiano, e sa poco di “cambiamento”.
Presentarsi come l’alternativa e ricadere nelle logiche del sistema per mancanza di prospettiva, per un colpevole appiattimento sul presente e un miope sguardo al futuro non ha neanche più il sapore della “rottamazione”, è solo involuzione. Neanche troppo originale: è dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii. (F. T. Marinetti, Manifesto del Futurismo)

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