Governo
Lo storytelling di Renzi è un fiasco
Si è concluso pochi giorni fa l’annuale convegno di Comunicazione Politica, nella linda Salerno di De Luca, dove non si è fatto altro che discutere, nei numerosi workshop, della mitica “narrazione” renziana. Della sua capacità, post-berlusconiana, di monopolizzare il paese, con una rara abilità comunicativa di stampo post-populista. A cominciare dal libro di Mauro Calise, di prossima uscita, sul partito del leader, fino ad arrivare allo story-telling visuale di Numfop, raccontato da Chris Cepernich, passando dal cittadino senza scettro di Gianfranco Pasquino.
Tante storie, con un refrain di fondo: l’abilità di Matteo Renzi di ottenere un consenso generalizzato con forme e riforme di dubbio spessore, e di dubbia validità. E mentre ero lì, ad ascoltare tutte queste dissertazioni, mentre mi preparavo a raccontare anch’io qualcosa su questo alto gradimento renziano, il dubbio che già mi stava avvolgendo, poco alla volta, è divenuto reale. Si è concretizzato: sarà vero che Renzi ha tutto questo consenso?
Il gioco è semplice. Consiste in una sola domanda. Se un leader politico è molto amato, benvoluto e stimato dalla popolazione, cosa succede se procede ad una riforma parecchio complicata, di cui gli elettori non capiscono un granchè (e lo ammettono perfino)? Mi aspetterei che, anche se non ben compresa, quella riforma verrà giudicata positivamente dalla maggior parte dei cittadini interpellati. Se mi fido di una persona, molte delle cose che egli fa, sebbene di difficile comprensione, desteranno immediato consenso, quasi un consenso preventivo.
Nel lavoro che stavo terminando, e che avrei presentato di lì a poco al convegno, succedeva questo. Tra coloro che dichiaravano di conoscere l’Italicum, i giudizi positivi e negativi si bilnaciavano, circa metà e metà. Tra coloro che viceversa dichiaravano di non conoscerlo, prevalevano di gran lunga (70 a 30) i giudizi negativi sulla nuova legge elettorale. Ohibò, un risultato molto strano, in un paese che dovrebbe essere stato incantato dallo srotytelling del premier. I non-politicizzati, i potenziali astensionisti, gli elettori lontani dai partiti, erano quelli che più degli altri manifestavano una avversione di fondo verso Renzi e le sue riforme: esattamente il contrario delle aspettative, ciò che NON dovrebbe accadere in un’Italia dove il nuovo capo del governo viene percepito come colui che, finalmente, inizia a riformare il paese, dopo anni di immobilismo. Un indizio, ma molto preciso.
Perché la parabola di Renzi è giunta proprio a questo punto. Dopo la veloce luna di miele dei primi mesi, culminata con il voto europeo, i consensi per il segretario del Pd sono cominciati lentamente a decrescere, in particolare in occasione proprio delle riforme che andava sbandierando come la fine della palude dei precedenti esecutivi. Jobs act, la buona scuola, l’Italicum, per non parlare del recente salvataggio dell’Etruria: tutte leggi che hanno fatto aumentare il dissenso nei suoi confronti. E se la sua è l’arte del comunicare, probabilmente è un’arte che ancora deve imparare, perché di quelle leggi sono rimaste nella mente degli italiani soltanto le cose meno positive, meno gradite: il parlamento dei nominati, il diritto di licenziare, lo sceriffo scolastico, le parentele di ministri del suo governo.
Il favore nei confronti di Berlusconi, nei suoi governi del 2001 e del 2008, la luna di miele degli italiani nei suoi confronti, è durato almeno 2-3 anni. Quello di Renzi soltanto pochi mesi. Oggi Renzi è apprezzato da poco più di un terzo della popolazione, mentre Berlusconi veleggiava intorno al 50%, amato soprattutto dai più lontani dal mondo politico. Giuste o sbagliate che siano le modalità di comunicazione e di governo, resta il fatto che il campione della comunicazione mi sembra sia stato il cavaliere, mentre l’ex-sindaco di Firenze versa in una perenne sofferenza. Che lo story-telling renziano sia soltanto un mito?
(foto di copertina tratta da Flickr, profilo della presidenza del Consiglio)
Devi fare login per commentare
Accedi