Governo
Lo Stato sono IO. Patologia di un Paese
I sintomi ci sono tutti. Si inizia dall’eccessiva importanza che si da a sé stessi, si continua per una costante fame di approvazione dall’esterno, una smania per l’esibizione, per produrre immagini metaforiche e concrete in cui il proprio sé possa rifulgere, un’ossessione nel lanciare frasi lapidarie che si imprimano nella memoria degli altri, coloro di cui si brama l’approvazione affinché dimostrino con quella che quel sé esista e sia amato e glorificato, la propensione a non accettare mai critiche perché chi le fa nega quella glorificazione e quindi è un nemico, il voler presentare sé stesso come IL messia e si va avanti con molte altre varianti.
È il narcisismo, una patologia anche più che avanzata di disturbo narcisistico della personalità, che oggi più che mai è presente nella nostra società, basata sull’immagine e sulla proiezione dell’immagine all’esterno, sulla sua moltiplicazione all’infinito attraverso una tecnologia sfuggita di mano e che sta compiendo danni irrimediabili.
È una patologia che, oggi, possiamo riscontrare un po’ ovunque, in ogni strato sociale e in quasi tutti i paesi del mondo. Ma limitiamoci al cortile di casa nostra.
Si può cominciare, per esempio, dai ragazzi che a Palermo girano in biciclette equipaggiate con impianti stereo che sparano a un volume da stadio le canzoni melodiche napoletane (o altro), cosa che fanno anche giovani tamarri di quartiere (“tasci” in gergo locale) con autoradio a tutto volume perfino nelle ore notturne, segnalando la loro presenza itinerante anche per chi non li può vedere, da lontano quindi: ascoltate, IO sono qui, questa è la MIA voce anche se non canto o urlo IO, ma ciò che sentite è il MIO impianto stereo dell’auto. Senza che nessuna forza dell’ordine intervenga, questo è il grave. Indifferenza per un fatto banalmente archiviato come di “costume”. Così come per tante altre cose.
Si può continuare colle persone che non riescono a tacere e ti impediscono di dire la tua, perché la loro voce (alta) deve riempire l’aria intorno a loro, affermare che essi ci sono, sono vivi, e, secondo loro, dicono anche cose rilevanti, sebbene queste ultime siano il più delle volte sgrammaticate e senza alcun senso logico (che vanno dalla terra piatta alle varie apparizioni di Padre Pio nelle macchie d’umido o il profilo del diavolo nel fumo delle torri gemelle… eccetera). Ma la patologia ormai incancrenita le spinge al bisogno di affermare la propria presenza e personalità anche quando sarebbe il caso di abbozzarla.
La catena è infinitamente lunga.
Il meglio di questa patologia, spesso unita a tante altre, si vede in tv, il luogo ideale per amplificare la propria voglia di approvazione e la scalata all’Olimpo verso l’esaltazione di sé stessi fatti divinità, la necessità dell’adorazione da parte di altri. Negli ultimi decenni si sono prodotte trasmissioni atte ad esaltare questi sé malati, senza un’autocensura, liberi di dire qualsiasi sciocchezza e di ricevere applausi anziché fischi e pomodori marci, con un pubblico pagato e consenziente per applaudire alla prima sciocchezza che fosse stata detta dall’imbecille di turno, dandole una dignità. Capitava così che, solo per fare un esempio, al Maurizio Costanzo Show, su palcoscenici di teatri italiani di un certo livello (il Ponchielli di Cremona, Il Parioli e il Sistina di Roma, eccetera), quindi in una cornice già autorevole e credibile, si consumasse il rito dell’esaltazione del narcisismo: la parola e la banalità della coatta del Grande Fratello accanto, magari, alla scoperta scientifica del grande scienziato, invitato dal presentatore a divulgare la sua scoperta a un vasto pubblico. Nientemeno che l’annuncio di Anna Maria Franzoni, la Medea della Val d’Aosta, di aspettare un bambino, anche questo è successo su quel palcoscenico. Ma, attenzione, entrambe le esibizioni degli invitati hanno lo stesso valore, sono tutti seduti lì in poltrona, ospiti di riguardo, che solamente aspettano il via del conduttore, con orrenda cornice-introduzione musicale di pochi secondi, come fosse un ingresso trionfale. Un po’ come nei circhi, all’inizio del Novecento, dove si esibivano i pagliacci, i domatori, i trapezisti ma anche étoile della danza. Il circo era, insomma, un contenitore di abilità varie, intrattenimenti per stupire il pubblico – e, nel caso della tv, anche per orientarlo – : la medesima intenzione circense del talk show televisivo che però è degenerato in vetrina di mostri, ma una vetrina di mostri che sono stati presi ad esempio di comportamento, come certi critici d’arte che poi sono diventati politici e che sono attesi, in ogni circostanza, unicamente per sentirli sbraitare e insultare come fanno sempre in tv, come se quel comportamento fosse un valore aggiunto.
Ecco, questa trasmissione madre ne ha figliato infinite altre, tutte, più o meno, dello stesso tenore, riproducendo il medesimo modello e altri mostri, fino ad arrivare ai reality (fintamente reality, perché ci sono dei copioni ben precisi, stabiliti dagli autori, sennò non ci sarebbero autori) dove la mediocrità è la condizione necessaria per parteciparvi e il valore da sbandierare. La mediocrità esibita sul piccolo schermo ha pertanto invaso le case di tutti, mostrando modelli di comportamento e di autocompiacimento da parte di quegli spettatori che si identificavano in quei modelli squallidi ma che per loro erano idoli da imitare. Così abbiamo assistito alla proliferazione di troniste e tronisti spaventosamente ignoranti anche fuori dallo schermo, che pretendevano un’attenzione così come quella che avevano gli autentici tronisti dentro la scatola luminosa, e con un desiderio di affermazione della propria onnipotenza. La patologia si espande.
Tutto ciò è stato amplificato all’inverosimile nell’era digitale dalle reti sociali che hanno surclassato la tv per contaminare 24h/24h la vita di tutti. Anche se non vuoi ti arrivano le foto o i selfie di questo o di quello, anche di persone che non conosci, o le massime del divo televisivo del momento, con le notizie del suo costume da bagno e del tatuaggio che nasconde, cogli amori ufficiali e quelli occulti, colle lacrime per i litigi e le riappacificazioni, le “opinioni” politiche. Perfino il nulla di un personaggio come il supermiliardario maturo iperatletico e ipertatuato e sempre ignudo colle sue donne su panfili, spiagge e piscine, diventa “influencer“, il monumento della patologia. Perfino i bambini, i figli di coloro, sono spesso esibiti, incominciando così un percorso patologico a loro volta, quasi senza accorgersene.
Ma il trionfo della patologia narcisistica, che ormai diventa delirio di onnipotenza conclamato è rappresentato non più dal cinema, non più dal piccolo schermo, non più dal mondo dello spettacolo in generale. È la politica, oggi, l’ambiente più fertilizzato da questo disturbo molesto.
A dire il vero ci sono stati colossali narcisisti patologici nella Storia, a cominciare da certi imperatori romani come Nerone o Eliogabalo, a Federico II di Svevia, acclamato come stupor mundi, al Re Sole e il suo culto luminoso, a Napoleone imperatore dei francesi e poi i più terribili dittatori della Storia moderna, Mussolini e Hitler. Tutti patologicamente afflitti da un narcisismo cronico all’ennesima potenza.
La politica di oggi, coadiuvata dalla potenza delle reti sociali, che diffondono in tempo reale qualsiasi pisciatina di capi di partito, premier, re, regine, principesse, baci furtivi, fette di pane spalmate di nutella, riposi post copulatori sul letto della soubrette televisiva del momento, e così via, ha amplificato in maniera abnorme ed inimmaginabile il disturbo psicologico del narcisismo, elevandolo spesso a delirio di onnipotenza. Negli ultimi decenni abbiamo avuto, in Italia, diversi esempi di persone psicologicamente disturbate che hanno assunto il potere nei suoi massimi ruoli: l’ex-cavaliere B., Il pinocchio del Valdarno R., per finire coll’attuale ministro dell’interno S. (i nomi sono accuratamente evitati per non incorrere nel pericolo di dar loro un’importanza che potrebbe accescere il loro ego già ipertrofico). Tutti hanno costruito un culto della personalità, seguendo passo passo i primi sintomi elencati all’inizio e ricadendo in pieno nella patologia. Uno solo, tra loro, a un certo punto ha detto che non credeva di essere così odiato: un barlume di lucidità che però si è spento presto. E già, perché la patologia fa immaginare ai politici soggetti a questo disturbo di essere unicamente amati, solo per ciò che si è (o si mostra di essere), meno per ciò che si è fatto; grave disattenzione, perché perdere di vista i guai combinati, pensando che tutto ciò che loro hanno compiuto sia solo oro colato, alla fine risulta fatale.
Per farsi amare, a volte, si cerca di assumere varie identità. Una maniera tra le più sfruttate è quella di mettersi abiti simbolici. Il Re Sole inventò nuove mode ma lui aveva a disposizione artisti, sarti, musicisti e si ricoprì di fiocchetti e di fronzoli da sembrare quasi un albero di Natale. E poi, insomma, era un mecenate di arti varie ed elevò la musica e la danza aIl’empireo, per meglio far rifulgere la propria solarità. I più moderni ipernarcisisti nostrani e più plebei, che non hanno la minima idea di arte e cultura, invece indossano divise ogni giorno una diversa dall’altra, un giorno della polizia, un altro dei pompieri, un altro ancora del corpo d’armata che si va a visitare e presso cui si fa il comizio, con abbondanza di immagini sparse gratuitamente sui social network, senza la minima paura di sfidare il ridicolo. Perché, c’è anche questo, nella patologia del narcisista cronico non esiste la sensazione del ridicolo, tutto conduce all’esaltazione del proprio sé, qualsiasi mezzo si usi, l’importante è che ci sia una claque ad acclamare il soggetto. Non può trovar spazio assolutamente un qualsiasi pudore. Non esiste più, se mai è esistito. Anche per questo non si esita a stare in spiaggia ignudi con danze, cubiste che si agitano nientemeno che sull’inno nazionale (una trovata futurista, se vogliamo, per banalizzare anche quello, ma tutto è il corollario dell’annichilimento del resto in funzione dell’esaltazione di sé) e di ostentarlo, facendo finta di occuparsi di ciò di cui ci si dovrebbe occupare, ossia governare, in compagnia di un popolo che lo acclama. Un po’ come i fasti di Eliogabalo. Senza esserlo, naturalmente, neanche un millesimo ma ambendo a una posizione altolocata e con pieni poteri, come ha annunciato il narcisista patologico al massimo della sua espressione, e pensando di riuscire nel suo intento e di annunciare un concetto intelligente. Chissà dov’erano i suoi rosari, così amati e sbaciucchiati in tante altre occasioni, nell’orgia di potere sulla spiaggia. Li avete notati?
Ed è per questa patologia ormai sfuggita di mano che lo stesso individuo, ministro dell’interno, per giunta di minoranza, crede di essere il padrone del Parlamento e di poter trattare tutti come se fossero alle sue dipendenze, dicendo ciò che vuole, di alzare il culo per obbedirgli, scavalcando ruoli istituzionali superiori al suo, insultando chiunque gli si opponga, e continuando a moltiplicare attraverso i social le sue farneticazioni, in un linguaggio, si badi bene, assolutamente comune, vicino a quello del frequentatore del bar sport, che è il suo sostenitore più accanito.
In altri tempi uno così non sarebbe arrivato a quel punto, perché la cialtronaggine, autentica o calcolata, avrebbe trovato un freno anche attraverso i suoi stessi colleghi di partito che gli avrebbero consigliato di smetterla o gli avrebbero fatto indossare una camicia di forza. Se ci sono delle colpe codeste stanno anche in chi si è alleato con un personaggio di quel livello, fornendogli un potere che non aveva ancora e sottovalutandone la pericolosità, oltre che avallando le nefandezze compiute, senza arginare minimamente la sua nocività per il paese che stavano “governando”. In parole povere complicità. Forse complicità anche perché la stessa patologia affligge pure esponenti di quel movimento e quindi entrambe le forze alla fine si sono trovate in ottima compagnia. Solamente che il narcisismo, declinato in delirio di onnipotenza, non prevede una schiera di vincitori ma solo uno.
Dipenderà, visto che siamo ancora in un regime cosiddetto democratico, da quanto i cittadini saranno disposti a diventare l’oggetto di potere (e anche di disprezzo) da parte del narcisista vincitore. È già accaduto, in questo paese, un secolo fa. “Troppi italiani hanno l’animo dello schiavo. Poco da fare. Ho sognato”, scriveva Mussolini da Salò all’amante Claretta Petacci l’11 aprile 1944. Si è visto com’è andata a finire, anche se molti, ignoranti come le fate, proprio non lo sanno e quelli leggermente meno ignoranti pensano che il fascismo sia archeologia o abbia fatto, addirittura, cose buone. Quegli ignoranti stanno dalla sua parte, forse orgogliosi di esserlo, ignoranti, forse ipnotizzati, forse credendo realmente alle sue panzane sgamabili in dieci secondi. E si offendono se li chiami ignoranti, perbacco: se poni loro delle domande e fai notare le patologie di cui soffre il capitano e, probabilmente, anche loro, oltre a tutte, ma proprio tutte, le sciocchezze che sciorina, dagli immigrati, alla “famiglia”, al lavoro, alle strutture, alla difesa, all’autonomia regionale, si inalberano se si argomenta la loro inconsistenza e, soprattutto, la menzogna, non sanno cosa rispondere e cambiano discorso, esattamente come il modello che seguono. Sapere di essere ignoranti brucia moltissimo perché i sostenitori, anche se dell’ignoranza se ne fanno un vanto, sanno che è proprio grazie alla loro ignoranza che hanno bisogno di un ducetto, essendo talmente pigri o incapaci di analizzare la realtà intorno a loro. Anche loro si nutrono di narcisismo patologico.
Ma di queste altre patologie di massa sarà meglio parlarne, forse, in un altro momento. Anche perché sennò il mio narcisismo viene svelato troppo presto.
© agosto 2019 Massimo Crispi
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