Governo

L’intervista di Monti non la beviamo: la mangiamo

15 Febbraio 2015

Uno la domenica mattina si sveglia, e siccome siamo abitudinari pensa che sarà la lenzuolata del maestro Scalfari a fornire la scarica di adrenalina per affrontare la giornata. Invece no, oggi no. Oggi Mario Monti ha rivoluzionato le abitudini degli italiani che hanno potuto sperimentare un nuovo genere letterario: l’intervista da mangiare.

Nel senso che il nostro ne ha dette così tante, e così grosse, che persino i personaggi ligi e compassati da lui tirati in ballo, navigati uomini delle istituzioni, prima dell’ultimo rigo già avevano strappato con precisione la pagina del giornale lungo la linea di piega e, con dedizione, si stavano cimentando, boccone dopo boccone, nel mangiarsi l’intervista con tanto di foto. Tipo Rockerduck con le ghette, un misto di rabbia e frustrazione che solo con lo smandibolare trovava un po’ di nevrotica calma: Napolitano, Letta senior e junior, Alfano, Renzi, Morando, la pletora di trascinati al parlamento nel patetico scherzo della natura che fu scelta civica, qualche centinaio di migliaio di lettori del Corsera, tutti a chiedersi come potesse uno mettere in fila il record mondiale di mistificazioni contenute nella paginata illustrata col sorriso metallico che tutti conosciamo.

Riassumerle tutte è perfino impossibile ma, pescando fior da fiore, si rimanda chi l’abbia persa e voglia leggerla, all’originale; con l’avvertenza di non fruirne in versione digitale, ma di stamparla per poi, nel pieno della crisi, potersi calmare mangiandola come tutti.

Monti apre con la proverbiale simpatia: lo divertiva l’idea di farsi un biglietto da visita con scritto “ex senatore a vita”, ma poi “non hanno abolito né il senato né i senatori a vita”. Le matte risate le fa lui, noi meno; un po’ perché nessuno gli impedisce di dimettersi, e dare così sfogo al pazzo divertimento di stamparsi il famoso biglietto da visita. E un po’ perché ci ricordiamo come divenne senatore a vita. Dalla sera alla mattina e come condizione per diventare capo di un governo nominato per via extraparlamentare all’indomani del disarcionamento tramite scariche di spread di un pur discutibile governo eletto, e sotto la minaccia di commissariare il Paese.

Del resto, nella prima colonna di intervista, avviando il ragionamento del “peraltro” e del “piuttosto”, egli afferma negando e nega affermando, di fatto firmando quella che, a noi, appare la versione esatta, come l’abbiamo sempre vista.
La si legga, rimontata nel giusto ordine logico: “piuttosto che prendesse certe decisioni la troika con la brutalità che si è vista in Grecia era meglio le prendessimo noi” … “parliamoci chiaro: la troika è una forma di neocolonialismo” … “mi sono trovato lì, in quel momento, con il mio bagaglio europeo, i miei rapporti europei… Era quasi fatale che mi chiamassero” … “[domanda] insomma, fece da parafulmine? [risposta] Sì”.

Cioè, capiamoci: la troika è una forma di “neocolonialismo” che ci voleva quindi colonizzare con la “brutalità” con cui lo sta facendo in Grecia, quindi egli è stato “chiamato” e intitolato a farne le veci; e conseguentemente le ha fatte, altrimenti non avrebbe avuto senso che stesse lì? È logico?

Da qui a discendere le azioni conseguenti: nomina a senatore a vita – perché? Per garanzia? – composizione del governo, attuazione delle politiche che conosciamo. Qui una spigolatura: “[domanda] e gli esodati: un infortunio? [risposta] E’ stata anche montata molta panna”. Per quanto, gli esodati sono lì da vedere, ma transeat.

E così via fino al suo ingresso in politica. Qui la ricostruzione è così autoassolutoria che l’eco delle urla di un ex presidente della repubblica recentemente passato in pensione, non si sono ancora sopite ora, a tarda sera.
Egli si sarebbe presentato alle elezioni, fondando un partito, per “impedire che tutti i nostri sforzi fossero vanificati dalla vittoria di una delle due coalizioni dove nessuno avrebbe avuto il fegato di proseguire nel risanamento”.
Risanamento? Fegato? Questa sembra una sindrome burn out da reduce; ma non stavamo dicendo che le politiche in via di attuazione erano coincidenti a quelle che avrebbe dovuto attuare un organismo definito “neocoloniale”, e di cui egli rappresentava la versione esteticamente accettabile? Quindi, le due coalizioni avevano intenzione di fermare lo scempio che in Grecia era invece stato condotto con “brutalità”.

Inoltre, il famoso ingresso in politica, condotto nonostante le promesse e rassicurazioni che in precedenza erano state date alla suprema istituzione nominante, così a memoria andò un po’ diversamente. L’idea, infatti, era quella che il nuovo partito si inserisse nel Ppe, d’accordo con la Merkel che non vedeva l’ora di cacciare Berlusconi – verso cui nell’intervista odierna tracima bile – e andasse a costituire la famosa destra presentabile ed europea, meglio allineata alle idee tedesche dominanti e, tra l’altro, meno incline alle feste notturne. Naturalmente l’aspetto propagandato al tempo era solamente quest’ultimo; e naturalmente questo progettino apparentemente mefistofelico, ma sostanzialmente demente, si basava sulla scommessa che Berlusconi fosse politicamente morto. Su questa affermazione e sul pensiero alla lungimiranza politica dell’intervistato odierno, tutti gli sgranocchiatori di articolo si sono fermati un momento e hanno preso fiato.

La valutazione di questi eventi da parte di Monti è psicanaliticamente avvincente: scelta civica è stata una “delusione” ma “con il 10% ha impedito che l’Italia deragliasse”, Fini e Casini “erano stati i più fedeli sostenitori del governo”, e alla domanda: “non dirà che ha vinto”, l’intervistato risponde: “che cos’è la vittoria? Certo, ragionando coi vecchi schemi ho perso”.

E ragionando con i nuovi schemi?

Sì, Monti ha perso; ma leggendo l’intervista di oggi ci si chiede come si sia potuto scommettere su di lui. E, soprattutto, si ha la conferma della totale protervia di chi in modo “neocoloniale” da anni ci obbliga a questo supplizio, non sapendo nemmeno scegliersi degni governatori per le province colonizzate.

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