Famiglia
Lettera a un bambino straniero e a un bambino mai nato
Cari bambini nati in Italia, figli di genitori stranieri, forse avreste più chances di veder riconosciuti i vostri diritti come feti che non come persone. Era meglio morire da piccoli, avrebbe detto qualcuno. Almeno qualcuno si sarebbe preso a cuore la questione.
Provocazione? Direi di no. In questo momento nel nostro paese stiamo assistendo ad un attacco sistematico ad alcuni diritti della persona in nome di una fantomatica, e solo ideologica, difesa della famiglia. Famiglia italiana, bianca, sana, benestante s’intende, perché se sei straniero l’attuale politica del governo è “ognuno a casa sua” e, allo stesso tempo, se vivi in una condizione di problematicità – economica o sociale – non noterai molti interventi in tuo sostegno.
A parte discutibili proposte avanzate da qualche “illuminato” politico riguardanti la possibilità di elargire un assegno di mantenimento alle donne che rinuncino completamente al lavoro per dedicarsi ai figli, le politiche in sostegno alla famiglia nel nostro paese non si sprecano. Tranne in alcune regioni autonome, come il Trentino che, guarda caso, ha poi il più alto tasso di fertilità in campo nazionale. Chissà come mai. Altrove tutto è affidato all’associazionismo e al volontariato, ai progetti di qualche pubblica amministrazione illuminata, ma di un piano nazionale omogeneo per la famiglia – quella già esistente, anche se magari non esattamente del Mulino Bianco – scarse tracce.
In compenso è notizia recente la proposta di legge leghista (primo firmatario Alberto Stefani) nata per contrastare il calo demografico e che, implicitamente mina i principi di un’altra legge, la 194. Cosa propone questa nuova legge? A belle parole la possibilità di un percorso di adozione “in utero” da parte di aspiranti famiglie adottive che, ancor prima della nascita del bambino, garantirebbero la disponibilità all’adozione sgravando dal peso dell’eventuale abbandono in struttura la donna che non volesse tenerlo al momento della nascita. Una legge che ricorda vagamente quella di matrice americana – salvo che in quel paese è lecito anche l’utero in affitto e si sprecherebbero illazioni sulla “sacralità del corpo della donna a targhe alterne”, ma non è questa la sede – ma che, sottotraccia mette in discussione proprio il principio cardine della legge 194, riconoscendo al feto soggettività giuridica. Feti cittadini, viene da dire, bambini magari no. Tralasciando le implicazioni culturali che, per l’ennesima volta, mettono in discussione il diritto all’autodeterminazione della donna e che, camuffando l’ideologia sotto il bel manto della famiglia (Chi si dichiarerebbe apertamente contro la famiglia suvvia!), è l’assunto alla base di questa legge che solleva non poche perplessità. Combattere il calo demografico. Certo non lo possiamo combattere con il miglioramento del mercato del lavoro, delle politiche di conciliazione, dei servizi per l’infanzia, certo non possiamo prendere in considerazione il fatto che il “calo demografico” è qualcosa di assolutamente relativo e legato ad alcuni paesi del mondo, mentre il bilancio demografico non è per nulla in calo e che, dunque, valutando positivamente il fatto che le famiglie si possano muovere liberamente su questo pianeta, forse anche l’Italia potrebbe giovarsi dell’acquisizione di nuovi cittadini ai quali, ad oggi, sembriamo soltanto voler sbattere le porte in faccia.
Forse questo deriva da un nostro antico timore, quello della colonizzazione culturale. Abbiamo paura – forse perché qualcuno, attento a gestire la paura stessa come fattore politico – che integrare significhi soccombere e che l’unico sistema di conservazione per una cultura sia la generazione di figli “propri”.
Questo dimenticandoci che identità e cultura sono concetti sempre mutevoli e non genetici, che sopravvivono finché sono in grado di evolvere, altrimenti ristagnano e marciscono, e che il solo fatto che per centinaia di anni siamo stati noi i colonizzatori culturali ed economici di mezzo mondo non implichi che, eventuali altre culture, ci riserveranno lo stesso trattamento. Verrebbe da augurarselo pensando a cos’è stata per l’Europa e molti paesi del mondo la cultura italiana, verrebbe da non augurarselo pensando ad esempi deteriori di export italico. Fa parte del gioco e il gioco non si risolve a neonati al chilo, quanto piuttosto con un investimento, questo sì culturale ed educativo, sull’accoglienza. Discorsi complessi, ma torniamo ai dati. Chi sostiene che grazie alla 194 in Italia “Manca all’appello una popolazione di 6 milioni di bambini che avrebbero impedito il sorgere dell’attuale crisi demografica” non ha evidentemente mai preso in mano i dati statistici dall’entrata in vigore della legge.
La faccio brevissima, rimandando ad altri interventi la parte analitica: dal 1982 gli aborti di cittadine italiane (attenzione! Larga parte degli attuali aborti è praticato proprio dagli stranieri contro le cui famiglie storciamo l’italico naso) è calato del 74,4%. Rallegriamoci dunque! Con il tasso di aborti, per lo più clandestini, del 1982, ad oggi saremmo ancora meno, considerato poi il tasso di mortalità delle donne vittime di complicazioni per aborto procurato artigianalmente.
Rallegriamoci, ma fermiamoci a riflettere: noi italiani non abbiamo bisogno di essere difesi come razza, abbiamo bisogno che venga difesa la nostra cultura. Abbiamo bisogno che i singoli cittadini siano difesi e possano vivere meglio e più dignitosamente, che in questo paese torni la speranza, sola molla generativa, e questo prima che anche gli stranieri qui con noi, alle nostre condizioni, non vogliano più stare. Meno che mai i nostri figli. E prima, magari, di trasformare la nostra nella cultura dell’ignoranza e dell’oscurantismo.
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