Governo

L’estate italiana del capitano, il senso dello stato e la volontà popolare

8 Agosto 2019

Salvini al Papeete scuote la politica. Scandalizzarsi è inutile, agli Italiani piace così. Il ruolo dei media nella lunga stagione populista del nostro paese. 

 

 

La calda stagione è all’apice e gli italiani sono in partenza per le spiagge oppure già sdraiati sotto gli ombrelloni, ma la politica non va certo in vacanza. Non è una novità. Le interviste balneari, le feste di partito, le partecipazioni di politici a manifestazioni culturali hanno sempre fatto parte del racconto pubblico italiano. Nel 2019, però, abbiamo scoperto il Ministro degli Interni e vicepremier Matteo Salvini che si porta il lavoro al mare, ben prima della pausa estiva d’agosto. Il Papeete Beach, quindi, diventa il centro della politica italiana, da cui vengono trasmessi collegamenti in diretta con i tg e conferenze stampa, mentre il capitano svolge il suo lavoro (?) di ministro in una struttura appositamente attrezzata, circondato dai suoi collaboratori di partito, tra un selfie, un mojito e un bagno nell’Adriatico. Rigorosamente a torso nudo, of course.

 

Naturalmente poi arriva il weekend e la temperatura al Papeete si scalda, tra drink, dj-set, cubiste e folle di giovani impegnati legittimamente a divertirsi. Quello che accade nella serata di sabato, con la performance di Salvini alla consolle mentre l’inno di Mameli viene sparato nell’aria e ballato da signorine poco vestite sui cubi, è ormai un pezzo di storia italiana dell’anno in corso.

 

È però inutile stupirsi del comportamento tenuto da Salvini allo stabilimento romagnolo. Il personaggio non ha il senso dello stato né delle istituzioni (cose molto serie, per cui non basta cantare o far suonare l’inno di Mameli da una consolle), ma è calato in una nazione dove il senso del dovere civico e di comunità scarseggia e i comportamenti cinici e opportunisti non sono adeguatamente sanzionati socialmente. Figuriamoci quanto può interessare il senso del dovere istituzionale di un ministro. Pensare che la maggioranza degli elettori si indigni perché il loro idolo sta al mare invece di lavorare (lavorare sul serio, non in una stanza di uno stabilimento balneare) al Viminale forse è troppo.

 

 

Salvini è l’ultimo stadio del populismo già avviato da Berlusconi, del quale in buona misura ha acquisito i voti, passati in parte anche per il tramite del M5s. La popolarità e l’apprezzamento elettorale che nel nostro paese hanno ottenuto negli ultimi venticinque anni politici fautori di un messaggio declinato apertamente in termini populisti è quasi sempre stata maggiore rispetto a personalità caratterizzate da un approccio più tradizionale alla vita politica e più rispettoso di regole e istituzioni. Come evidenziato anche dagli ultimi successi leghisti, in Italia dal punto di vista del consenso elettorale il dovere istituzionale, il senso dello stato, l’etica del lavoro sostanzialmente non sono un valore. Lo sono invece molto di più la capacità di sintonizzarsi sulle pulsioni, gli istinti, i desideri degli italiani ed esprimerle nel linguaggio più diretto possibile. In questo senso Salvini è “uno di noi”, “si comporta come noi”, “pensa e parla come noi”. La capacità di presentarsi alternativamente come uomo di ordine e potere da un lato e politico autore di messaggi di protesta e invettiva dall’altro, anche ma non solo tramite i social, gli ha finora permesso di mantenere l’identificazione con il suo popolo. E indubbiamente avere un partner come il M5s al quale addebitare i visibili insuccessi dell’azione governativa ha aiutato.

 

Naturalmente un sistema mediatico informativo degno di questo nome dovrebbe contribuire a rendere i cittadini capaci di distinguere tra rappresentazione e realtà, tra parole e fatti. Questo non è però il caso dell’Italia, dove, pur con eccezioni, talk show televisivi tra urla e clacque plaudenti aizzano e fomentano la protesta rancorosa fine a se stessa e spesso slegata dalla realtà dei fatti, telegiornali compiacenti fungono da cassa di risonanza dei ministri e quotidiani “istituzionali” strizzano l’occhio ai potenti di turno con editoriali “di sistema”. E non da oggi. Ma forse neanche un valido sistema informativo sarebbe ormai sufficiente, in un paese caricato a molla da una narrazione qualunquista anti-politica che risale almeno all’epoca di tangentopoli, alla quale stampa e tv hanno certamente contribuito in maniera decisiva. La propaganda tramite social non ha fatto altro che intercettare, amplificare e indirizzare tali sentimenti.

 

Per questo l’azione politica dei partiti di opposizione, ma anche l’attenzione mediatica dei soggetti che rifiutano o criticano l’impostazione populista e demagogica del leader della Lega, non dovrebbe focalizzarsi troppo sulle cronache dal Papeete, bensì concentrarsi su temi concreti. Che abbondano. Evidentemente, per qualcuno, anche la contrapposizione a Salvini costituisce una rendita di copie vendute, click, citazioni, visualizzazioni.

 

L'”estate italiana” del capitano è appena cominciata e si è ora arricchita del piatto forte di una crisi di governo. Chissà se festeggeremo un Ferragosto inedito con uno scioglimento delle camere. Forse si, forse invece si risolverà tutto con un giro di poltrone, anche se il nostro giura che non gli interessano rimpasti. Di sicuro non ci si annoiera’.

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