Governo

L’Emilia Romagna è solo un’illusione: Lega e Pd verso il voto di primavera

5 Febbraio 2020

L’Italia non è l’Emilia Romagna. Pare incredibile eppure, trascorsa oramai una decina di giorni dal voto, il dibattito pubblico sembra ancora inquinato da certi entusiasmi fuori scala. Accade a sinistra, certo, ma paradossalmente anche a destra. In realtà, a livello nazionale i numeri sono più o meno sempre gli stessi, con la Lega saldamente in testa, Fratelli d’Italia in crescita, il M5S in caduta libera e il Pd che risale di un paio di punti percentuali ma resta decisamente staccato dalla Lega. Ciò che è cambiato è il senso politico che quei numeri hanno assunto non appena si son chiuse le urne.

Se infatti Salvini ha nettamente perso – Salvini ma non la Lega, attenzione – è piuttosto difficile dire se davvero ci sia stato anche un vincitore. Certamente, non ha vinto il Pd. Piuttosto, sembrerebbe aver prevalso un diffuso e risorgente antisalvinismo. Comunque sia, le forze politiche si trovano d’improvviso di fronte alla necessità di modificare profondamente previsioni e strategie. E non hanno molto tempo per farlo.

Siamo infatti alla vigilia di una nuova tornata elettorale che vedrà intrecciarsi il rinnovo di molte amministrazioni regionali con il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Nel mezzo, dovrebbero esserci i congressi – o comunque li si voglia chiamare – di Sardine e M5S, sempre che questo alla fine si faccia. E non è tutto. Prima ancora dovrà trascorrere il mese di febbraio nel quale molti nodi – e non soltanto quello della prescrizione – dovrebbero venire al pettine, rischiando di terremotare il governo ma anche gli equilibri tra Pd e M5s. Sullo sfondo, c’è poi la necessità di visibilità alcuni, Renzi su tutti, e l’attesa per le mosse di Di Maio, a portare ulteriore instabilità.

A stressare i rapporti nel centrodestra è invece soprattutto la corsa alla leadership che si intravvede adesso dietro la scelta dei candidati per le prossime regionali, e dunque la ridefinizione del ruolo e delle strategie di Salvini. Si può provare a mettere un po’ d’ordine cominciando da qui.

In Emilia Romagna la vittoria di Stefano Bonaccini si può spiegare con un buon numero di ragioni di natura locale, a partire da un diffuso giudizio positivo sul lavoro della sua amministrazione. Ma, come è noto, quel voto è stato anche un voto fortemente politicizzato in chiave nazionale a causa della decisione di Matteo Salvini di proclamare un referendum su se stesso. Ebbene, alla fine quella strategia si è rivelata fallimentare. Il vero sconfitto, come si diceva, è stato proprio Salvini. Allo stesso tempo, più che un partito, a vincere in Emilia Romagna sembra essere stata un’area politicamente eterogenea e dai confini sfumati la quale però si è coagulata attorno a un obiettivo unitario: fermare il leader della Lega. Insomma, come ci dicono anche i numeri, più che il Pd a vincere è stato l’antisalvinismo. E l’antisalvinismo ha avuto un alleato decisivo: lo stesso Matteo Salvini.

È la seconda volta che Salvini riesce nell’impresa di perdere una partita che sembrava quasi vinta. Era accaduto la scorsa estate al Papeete con quella stralunata richiesta di pieni poteri che finì persino per metterlo in ridicolo. In quel caso, è poi è riuscito brillantemente a risollevarsi, tanto da decidere di scommettere sulle elezioni in Emilia Romagna. Anche in questo caso, gli è andata male. Questa volta però sarà più difficile rialzarsi.

La sua immagine di uomo forte e la sua capacità strategica sono uscite piuttosto ammaccate per la seconda volta in pochi mesi. Inoltre, a questo punto inizia a rafforzarsi il dubbio sulla sua capacità di essere il motore di una coalizione che sappia attrarre anche un elettorato moderato. Ed è soprattutto in questo che il risultato delle ultime elezioni regionali pesa come un macigno.

Ci si chiede, insomma, se il profilo di Salvini sia quello giusto per riportare la destra al governo poiché con i suoi atteggiamenti e una propaganda costruita su episodi come quello del Pilastro, invece di attirare quei pochi voti che ancora mancano alla destra per vincere, è riuscito invece a rivitalizzare gli avversari, contribuendo a far emergere il movimento delle Sardine. E quel movimento alla fine è risultato decisivo per la vittoria di Bonaccini, stante un Pd insipiente e incapace di agenda politica.

Ma questa volta Salvini dovrà faticare più di quanto non abbia dovuto fare all’indomani del Papeete anche perché inizia a farsi concreta la concorrenza interna di Giorgia Meloni la quale è interprete di un sovranismo di stampo spiccatamente nazionalista che in prospettiva forse potrebbe essere più convincente, per l’elettorato di destra, di quanto non sia il sovranismo a trazione populista di cui è interprete la Lega.

Per definire il volto del futuro centrodestra e il prossimo candidato premier sarà decisiva la prossima tornata elettorale e, prima ancora, la scelta dei candidati. E infatti, mentre ancora il dibattito era completamente assorbito dal risultato delle elezioni in Calabria ed Emilia Romagna, a destra già si affilavano i coltelli, anche perché tra le regioni che andranno al voto c’è anche la Toscana che però rischia di essere una replica dell’Emilia Romagna. Nonostante il fallimento della strategia imposta da Salvini, la Lega non si è fatta problemi nel far sapere che gli accordi già presi con gli alleati dovranno essere rivisti. Giorgia Meloni ha risposto picche e lo ha fatto con la calma e la pazienza di chi sa di essere forte. Si capirà presto come andrà a finire. In ogni caso, i candidati della destra si troveranno di fronte un centrosinistra tuttora privo di una identità politica definita e persino di una agenda.

Dalle Sardine a Bonaccini, sono molti coloro i quali in queste settimane hanno ripetuto che la politica si fa anche mettendoci il corpo e scendendo nelle piazze. È giusto ma non basta. La politica la si fa anche con le idee. E non si capisce – e non si è mai davvero capito – cosa il Pd intenda fare da grande. Nessuno ne parla davvero – nessuno ne ha mai davvero parlato – se non con un linguaggio tragicamente debitore di un marketing politico persino un po’ datato: le buone pratiche, i saperi, i talenti, le eccellenze, e si potrebbe andare avanti a lungo, sgranando questo infinito rosario del nulla, necessario a mascherare la mancanza di obiettivi politici strategici a lungo termine. Mancando identità politica, ci si è ridotti a costruirla contro l’avversario. Prima Berlusconi, adesso Salvini.

Così, l’unico argomento in positivo utilizzabile rimasto in questi anni al centrosinistra è stato, come in Emilia Romagna, quello della buona amministrazione. Ma è un argomento che in chiave nazionale non serve a molto. In parlamento, infatti, a differenza di quanto accade a livello di amministrazione locale, si disciplinano diritti, doveri e libertà. A questo, soprattutto, serve la politica. Se manca un orizzonte politico, nel peggiore dei casi manca la capacità di garantire le libertà poiché ogni cosa, in nome di un autoproclamato buon governo, diventa possibile. Nella realtà quotidiana, invece, più modestamente può accadere che un politico come Giusppe Conte sia indicato come «un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste» dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti.

Lo stesso Zingratetti si è comunque accorto da tempo che qualcosa nel partito debba cambiare. Tuttavia, a quanto si capisce, più che restituire identità politica al partito, la dirigenza democratica sembra orientata verso la radicalizzazione di certi meccanismi, come il diritto di voto ai non iscritti, una tra le cose più populiste e demagogiche che si possano immaginare. Ed è proprio questo genere di scelte che ha portato alla perdita di capacità di elaborazione politica con il conseguente annacquamento del centrosinistra. Dunque, se il futoro della destra si gioca adesso soprattutto sulla scelta dei candidati alle prossime elezioni, il centrosinistra la sua partita sembra doversela giocare tutta o quasi nella costruzione di una agenda credibile e di una identità solida.

L’errore più grave che il Pd potrebbe commettere adesso è allora quello di considerare davvero le elezioni in Emilia Romagna come il cardine attorno al quale far ruotare la ricostruzione di un partito nazionale, accontentandosi di antisalvinismo e Sardine le quali, comunque, potrebbero servire – qualora rimanessero un movimento di opinione – a convogliare verso l’area democratica un buon numero di voti grillini in uscita. Se così fosse, se ci si limitasse soltanto a questo, se insomma si trascurasse la cosrtruzione di una agenda e di una identità politica solida, il rischio che in primavera si debba fare i conti con un brusco risveglio è molto più che un rischio.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.