Governo
Legge di stabilità e Fondazioni bancarie: che ruolo per la filantropia italiana?
Acquistare un defibrillatore, sostenere reti di genitori affidatari, finanziare start up innovative in ambito sociale, restituire un bene confiscato alle mafie alla comunità, supportare la ricerca scientifica in ambiti innovativi, realizzare spazi di coesione sociale: in Italia, come nel resto del mondo sviluppato, buona parte di questi servizi, spesso intangibili ma fondamentali per le nostre comunità, sono da tempo affidati quasi interamente al privato sociale.
Non ce ne rendiamo conto, spesso, ancora legati al mito dello stato assistenziale che fino agli anni ’80 gettava la sua longa manus praticamente in ogni ambito della nostra vita. Ma l’Italia da tempo è cambiata. Secondo i dati dell’ultimo censimento Istat (lo trovate qui) oltre 301.000 organizzazioni del privato sociale garantiscono assistenza ai malati, promuovono la ricerca medico-scientifica, accompagnano i nostri figli nel loro percorso scolastico e nella crescita psico-fisica, erogano cultura e difendono il patrimonio artistico del paese, svolgono un pezzo importante di sostegno alla nostra politica estera e fanno da argine allo scollamento sociale di questo paese.
Stiamo parlando di un esercito pacifico di 680.811 addetti e 4.758,622 volontari che muovono ogni anno 67 miliardi di Euro, qualcosa come il 4% del nostro PIL. Ognuno di noi conosce sicuramente un volontario di qualche organizzazione nonprofit.
Nel 2013 un ruolo importante nel tenere insieme questo universo lo hanno svolto le Fondazioni Bancarie: milioni di Euro di erogazione che non guardano solo alle emergenze quotidiane, ma anche a progettare un pezzo di futuro nel welfare territoriale italiano. Senza la loro stampella filantropica una parte del privato sociale, quello della porta accanto, semplicemente non esisterebbe. Senza il loro sostegno, l’innovazione sociale semplicemente non avrebbe benzina con cui partire. Ma anche per molti enti territoriali il gravame rischierebbe di divenire insostenibile.
La legge di stabilità 2015 rischia però di sparigliare le carte in tavola. Come? Inasprendo la tassazione derivante dai rendimenti delle rendite finanziarie delle Fondazioni Bancarie, il gettito fiscale prodotto passerà dai 170 milioni di euro, ai 340 del 2014, per salire ai 360 milioni di Euro del 2015.
Una scelta che ha le sue ragioni nel riassestamento della spesa pubblica e nel riequilibrio delle entrate verso una maggiore tassazione delle rendite, ma che non sembra fare i conti né con la natura stessa delle fondazioni (è possibile che non si riesca a separare il grano dal loglio, trovando soluzioni differenziate a seconda della finalità degli investimenti e dell’utilizzo delle entrate finanziarie?) né con il disagio sociale del paese (a cui non si danno alternative in termini di risorse), né appare inscritta in qualche visione programmatica di lungo periodo.
L’ultimo punto mi sembra quello più rilevante. La riforma del terzo settore, in discussione in questi mesi in Parlamento, come nota giustamente Carlo Mazzini nel suo blog, pare dimenticarsi proprio delle Fondazioni Bancarie, così come, almeno mi pare, in genere della sostenibilità economica del terzo settore, che è fatta di fundraising da privati, di fiscalità agevolata (penso in particolare all’IVA che grava pesantemente sulle attività del privato sociale, ma anche alla deducibilità/detraibilità delle donazioni, bassissima in Italia), di istituti giuridici nuovi o che attendono una regolamentazione (come i trust o le società low profit), di regole chiare e stabili su strumenti come il 5×1000 e, in genere, di un pensiero strategico sul welfare degli anni a venire che, ormai lo sanno anche i muri, non potrà sostenersi né con un ulteriore aumento delle tasse né con un semplice riequilibrio della spesa.
In mancanza di un tale orizzonte più ampio, che contempli anche il ruolo chiave della filantropia, la scelta di raddoppiare la pressione fiscale sulle Fondazioni Bancarie, con le drammatiche ricadute che avrà sul territorio, mi sembra sciagurata. Insomma, fintanto che non ci spiegate come pensate di sopperire al danno che state per arrecare ad associazioni, cooperative sociali ed enti territoriali, mi sento di unirmi al coro di chi, in rete, sta dicendo #menotassepiuerogazioni.
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