Governo
Dimissioni di Lupi: in democrazia nessuno è indispensabile
A parte le grida di scandalo lette e ascoltate negli ultimi due giorni tra social e tg, la vera ragione per cui il ministro Lupi doveva dimettersi l’ha spiegata molto bene lui stesso stamattina alla Camera. Il contenuto della telefonata rimbalzata di intercettazione in pubblicazione online non è penalmente rilevante e, se prescindessimo dai soggetti coinvolti, non sarebbe nemmeno eticamente rilevante. Ciò che la rende tale, e che obbliga Maurizio Lupi a dimettersi dal suo incarico di ministro della Repubblica, è esattamente ciò: che Maurizio Lupi è un ministro della Repubblica. Vi sembra relativismo? Andiamo con ordine.
Punto primo. Che la telefonata di Maurizio Lupi ad Ercole Incalza non abbia alcuna rilevanza penale lo dimostra il fatto che nell’ambito di un’inchiesta con 47 indagati e 4 arrestati, la posizione del ministro non è nemmeno al vaglio dei magistrati. E, a ben pensarci, lo dimostra anche un altro recente caso: a voler incriminare la telefonata di Lupi, quella di Berlusconi al Capo di Gabinetto della Questura di Milano per “suggerire” l’affidamento della “nipote di Mubarak” a Nicole Minetti sarebbe da processo per direttissima. Insomma: se per i giudici non fu concussione il “consiglio” di Berlusconi alla questura di Milano, men che mai può esserlo la telefonata in cui Lupi spiega a Incalza che lo andrà a trovare il figlio “per avere consulenze e suggerimenti”.
Punto secondo. Immaginiamo che mio padre, medico privato, dopo la mia laurea chieda ad un suo caro amico, affermato avvocato, di ricevermi “per avere consulenze e suggerimenti”. Immaginiamo anche che l’amico, affermato avvocato, sentendosi obbligato nei confronti di mio padre da antico vincolo di amicizia, o magari dalla più terrena considerazione delle numerose cure mediche gratuite riservate a suo fratello, si preoccupi di chiamare un altro suo caro amico consulente d’impresa per segnalarmi come buon tirocinante presso la loro società di consulenza aziendale. Nulla di rilevante, né sul piano giuridico (si tratta di un impiego privato) né, mi permetto di azzardare, sul piano etico.
Dov’è allora lo scandalo? Semplice: ai due capi del telefono non c’erano mio padre e l’amico avvocato ma un ministro e un dirigente del suo Ministero. E lo so, qualcuno sarebbe pronto a sostenere che si tratta di relativismo etico e doppia morale. Ma evidentemente si confonde.
Prima obiezione: dovremmo rimproverare Lupi per aver sostenuto il figlio come qualunque altro padre solo perché in quel momento era ministro?
E certo. Torniamo all’esempio di prima. Mio padre che chiama l’amico avvocato intende aiutare suo figlio sfruttando l’amicizia o il credito che gli deriva dall’esercizio di una funzione privata: la sua funzione di medico. Lupi che chiama Incalza intende aiutare il figlio sfruttando, per una vicenda privata, un rapporto connesso (indipendentemente dai suoi intenti) con la funzione pubblica che esercita: quella di ministro della Repubblica.
Seconda obiezione: allora chi ricopre il ruolo di ministro deve rinunciare ad aiutare il proprio figlio?
E certo. Il problema tutto qui: le istituzioni non sono una posizione privilegiata di connessione con il mondo ma un pubblico servizio. Che per essere fedelmente adempiuto comporta rilevanti rinunce. Non obbligatorie però: ciascuno è libero di ritenere, come ha detto stamane Maurizio Lupi, che i propri doveri di marito e padre siano prioritari rispetto ad ogni altra incombenza. Nel qual caso, ci fa il piacere di tornare a vita privata, dove potrà lodare le incredibili capacità del figlio fino a perorare la causa di una giusta ed equa remunerazione.
Insomma, le dimissioni del ministro Lupi sono l’indice di una democrazia sana perché ribadiscono (finalmente) un principio cardine di ogni regime democratico: nessuno è indispensabile, e nessuno è legittimato a ritenersi tale. E allo stesso tempo ci consegnano l’immagine di un Governo i cui ministri si impegnano non solo ad essere credibili ma a tenere lontana da sé e dal ruolo che ricoprono anche solo l’ombra di un improprio esercizio delle funzioni pubbliche. Certo, dieci anni fa non avremmo avuto le dimissioni di Maurizio Lupi, e verosimilmente nemmeno quelle di Nunzia De Girolamo e Josefa Idem. Ma il punto è proprio questo: chi ci vuole tornare a dieci anni fa? Io no di sicuro.
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