Governo
L’acquario
Con la nomina dei sottosegretari la squadra di Governo di Mario Draghi è finalmente completa, la vernice del quadro si è asciugata e allontanandosi qualche passo si può vedere cosa rappresenta.
Come tutti i quadri non figurativi serve un po’ di fantasia, bisogna lavorare di analogia per capire, sentire, interpretare, farsi prendere.
A me il quadro che ne è uscito sembra chiaramente la rappresentazione, nemmeno troppo astratta, di un acquario, di quelli grandi e moderni che riproducono interi ecosistemi marini, come la barriera corallina. Non più la vasca degli squali e la vasca dei pesci palla, ma squali, pesci palla, carangidi e murene tutti assieme, che nuotano tutti nello stesso enorme ambiente. Non si mangiano, perché l’amministrazione dell’acquario li pasce e li cura, smorzandone l’aggressività e impedendo che di centinaia di pesci rimangano solo squali, pesce palla e murene. A parte questo particolare, certamente non secondario, l’ecosistema però è perfettamente funzionante e credibile, rappresentazione della vita nell’oceano.
Così sono nel Governo Draghi i partiti e la dialettica politica: ne osserviamo una rappresentazione anche assai realistica, ma totalmente priva dell’elemento che in realtà la caratterizza, per i pesci la catena alimentare, per i partiti la catena tra istanze, proposte, implementazione, battaglia tra opzioni. in altre parole la politica.
Mattarella e Draghi avrebbero potuto eliminare del tutto i pesci vivi, mandando in loop dei meravigliosi documentari del National Geographic in forma di un Governo di tutti tecnici, con la politica chiamata a ratificare le scelte. Data la loro attuale (ormai attuale cronica) debolezza, i partiti avrebbero mugugnato ma in maggioranza si sarebbero accodati. Con gesuitica perfidia, la scelta è caduta invece sull’opzione del vascone. Tutti dentro, anche quelle specie che in mare vero si detestano, si rincorrono, si sbranano. Qui no, perché nell’acquario tutti i pesci sono protetti e pasciuti, affinché davvero non possano causare alcun danno. Lì con pezzi di pesce decongelato calati dai sub, qui con l’illusione di posti di Governo e sottogoverno e con lo snack preferito, la visibilità, l’illusione di esistere perché si posta e si dichiara.
Senza l’assillo di dover gorvernare davvero, di prendersi davvero delle responsabilità, come di doversi cercare ogni giorno il cibo in mare aperto, si posta e si dichiara una bellezza. Si può convivere fra nemici giurati, antropologicamente agli antipodi, si può inneggiare alle riaperture mentre è patente l’arrivo della terza ondata, si può chiedere il condono fiscale e la mano dura sui migranti sapendo che tanto non si toccherà palla né sull’economia, né sulla gestione dei flussi, si possono sistemare i conti interni ai partiti. Tutto con la rilassatezza di chi sa che non accadrà nulla, che si è in una lunga forzata vacanza dalle responsabilità. Si potrà contemporaneamente indignarsi, dichiarare, impuntarsi e poi votare i provvedimenti, senza soluzione di continuità.
Anche dal punto di vista di chi osserva, si può fare finta di credere che sia tutto vero, ci si può interrogare sulla convivenza fra forze politiche così diverse, indignare per quella signora che non legge un libro da tre anni e va alla Cultura, per il dantista di Topolino, per gli incendiari diventati pompieri. Ci si può anche interrogare sul razionale di un Governo che assomiglia moltissimo nelle persone alla somma di Conte I e Conte II. Si può, ma è una perdita di tempo.
Sono tutte rappresentazioni nell’acquario, poco di vero e soprattutto pochissimo di serio.
I gestori dell’acquario sono quelli che decidono tutto, che mentre ci si azzuffa per finta fanno i fatti. Siedono a Palazzo Chigi e in pochi Ministeri chiave, praticamente tutti a guida tecnica. Hanno in mano il dossier che ha veramente scatenato tutto il casino, l’unica cosa che non si poteva lasciar toccare davvero a quel parvenu di Conte, il Recovery Fund e la sua gestione. Per quello serviva qualcuno che sapesse fare quel che si deve fare, un competente vero, il migliore di tutti.
“Fare quel che si deve fare” è un concetto che, applicato alle scienze sociali e all’interazione tra uomini, mi lascia sempre molto perplesso, puzza di reazionario e deterministico, appunto di “tecnocratico”. “Quel che si deve fare” nella politica e nel governo è SEMPRE storicamente determinato, il che vuol dire che c’è chi perde e chi ci guadagna. L’essere più o meno nella classe di mezzo può accrescere le possibilità di non essere fra quelli che perdono, ma non bisogna essere così ottusi da pensare che governare un Paese sia come riparare l’impianto di riscaldamento.
Mi da moltissimo fastidio che, ancora una volta e con cicli sempre più brevi, coloro i quali sono stati votati e (fatemelo dire una volta sola) sono pagati per rappresentare gli interessi che danno forma a “quel che si deve fare”, alzino le mani e si mettano nell’acquario a fare finta di fare politica, aizzando i fan in una perpetua campagna elettorale mentre poche persone decidono quello che davvero si deve fare. Mi da fastidio ma probabilmente è ancora una volta inevitabile, solo che non sarà gratis.
Non gratis per chi resterà fuori o ci perderà perché sarà fatto “quel che si deve fare” e non avrà voce nelle istituzioni perché chi ha votato è entrato nell’acquario. Non gratis, credo e sinceramente spero, nemmeno per coloro i quali per dabbenaggine e convenienza hanno scelto di entrarci nell’acquario.
Anche in un Paese bizzarro e smemorato come il nostro, una così radicale e violenta umiliazione di un’intera classe politica per manifesta inadeguatezza non dovrebbe restare interamente senza conseguenze. Come dopo le guerre, anche dopo la pandemia la classe dirigente, almeno quella politica, dovrà essere cambiata. Cambiate le persone e si spera anche le modalità di selezione e di organizzazione. Non è un caso che solo nell’ultimo mese due ottimi apparatchiki di scuola PCI abbiano lasciato il Parlamento per incarichi esterni alla politica. Una stagione è finita, e sarebbe dignitoso per chi ha guidato sinora farsi signorilmente da parte. Per cosa? A me piacerebbe avessero più peso quelle figure, innanzitutto gli amministratori locali, che non si possono permettere la comodità dell’acquario. È una delle opzioni possibili, quasi tutte migliori dell’attuale.
Per illustrare questo pezzo, per una volta non ho scelto una foto ma lo screenshot che immortala uno dei momenti più ridicolmente bassi (fino al prossimo) di quel sistema dell’informazione che ha accompagnato la Caporetto del nostro sistema democratico e che senza un plissé accompagna l’insediamento di chi sa “quel che si deve fare”. L’informazione in Italia è ormai come quei ristoranti che siccome perdono clienti hanno l’idea geniale di andare a fare la spesa al discount, perdendone sempre di più con prodotti non solo vecchi, ma di qualità scadente. Inizialmente, i media temevano che il parlare per ukase di Draghi avrebbe significato perdere il gustoso junk food di chiacchiere del quale ormai esclusivamente si nutrono ed erano preoccupati. L’acquario è invece anche per loro la migliore soluzione: una fonte inesauribile di gossip, scemenze, smargiassate, litigi finti come al Grande Fratello Vip senza il bisogno di fact checking e altre cose noiosone.
Non voterò più gli uni e non comprerò più gli altri. Se voglio vedere i pesci preferisco farmi il bagno.
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