Governo
La Waterloo dello Ius Soli
Il rinvio, cioè la cancellazione, della legge sullo Ius Soli è un atto di pragmatismo di Gentiloni, un successo per il Centrodestra, una sconfitta molto dura per il PD e per Renzi. Soprattutto è la prima pesante conseguenza del gravissimo ritardo culturale e politico italiano sulle questioni della immigrazione, ritardo del quale partiti e Parlamento hanno forse responsabilità minori della nostra pubblica opinione.
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Lo Ius Soli non aveva, non ha e non avrà nulla a che fare con le ondate migratorie di questi mesi, nemmeno di quelle di questi ultimi anni. Lo Ius Soli riguardava i giovani nati in Italia (e già questa frase dovrebbe da sola far riflettere) e gli immigrati giovani, stabili, regolari e scolarizzati. Non concedeva cittadinanze a pioggia ma risolveva alcuni noiosi, inopportuni e controproducenti ostacoli burocratici sulla vita di chi in Italia stava, sta e starà a prescindere da qualsiasi altra decisione romana. Questo è bene che ce lo si metta in testa, la sua bocciatura non fermerà in nessun modo il flusso del canale umanitario aperto nel Mediterraneo; magari bastasse una dichiarazione di Alfano, di Gentiloni e di Salvini a fermare l’ondata: gli aspiranti immigrati sarebbero già sommersi, respinti con danni e da tempo sul bagnasciuga della quarta sponda.
Il danno, quello vero, lo abbiamo fatto a noi stessi e potenzialmente alla nostra sicurezza. Le lezioni che arrivano dalla secolare storia delle immigrazioni ci dicono senza eccezione alcuna che il problema non è mai quello delle prime generazioni, consapevoli di sottostare a regole anche restrittive di un paese che non è il loro, consciamente o istintivamente grati a un paese che ha offerto un futuro migliore di quello della loro patria: il trade off tra sicurezza economica e limitazione kantiana della ospitalità è implicitamente accettato. Tutt’altro discorso invece è quello che con banale naturalezza fanno le seconde generazioni che della patria dei genitori poco o nulla sanno, della lingua un ricordo brookkolino, dei costumi probabilmente un certo fastidio rispetto a quelli vissuti tutti i giorni insieme ai coetanei a scuola e sul lavoro. Sono loro che rappresentano il nostro successo, la abilità italica nel segnare un punto rispetto ad altri paesi europei nella integrazione: se c’è un luogo dove la accoglienza ha funzionato fuori dalle polemiche su cooperative e cooperanti ma dove i valori su cui abbiamo costruito l’Europa, la pace i diritti e le chance individuali, sono un autentico successo per chi è arrivato da ovunque è proprio la pezzente Italia. Altrove, nel coloniale Belgio, nella Francia dell’Outremer, nella ricca Germania, nell’imperiale Regno Unito le discriminazioni pratiche rispetto ai diritti teorici oltre a rappresentare un vulnus nella nostra cultura occidentale hanno prodotto insicurezza e ricerca identitaria nelle origini e nella religione della propria famiglia con nei casi più parossistici (e più diffusi di quanto si creda) la fuoriuscita drammatica nel mondo del terrorismo e nel suo fiancheggiamento.
Il populismo e le paure hanno spazio se la politica è debole e le anime pavide. Se alla Potestas dei numeri non si affianca la Auctoritas di un pensiero credibile il prezzo lo pagano le nostre libertà prima della democrazia stessa. Per inseguire la piazza siamo finiti in un vicolo cieco, ringraziamo i protagonisti del baraccone estivo ma per favore non assolviamo noi stessi e a Settembre quando vedremo quei ragazzi entrare a scuola con i nostri figli ricordiamoci senza fare gli ipocriti di questo radioso Luglio.
Provocherà l’abbandono dello Ius Soli un attentato in un nostro stadio? Ma non scherziamo.
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Contribuirà a far rendere consapevoli di una sottile, a dire il vero non tanto, differenza di condizione?
Certamente sì.
È un prezzo che valeva la pena pagare sull’altare della demagogia?
No, no e no.
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foto di copertina: ©UNICEF/Ada Lombardi
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