Governo
La vittoria di Zingaretti: vecchio Ulivo o nuovo polo liberal-democratico?
All’indomani della vittoria di Nicola Zingaretti alle primarie del Partito Democratico, è necessario porsi un interrogativo: cosa vuole essere il suo centrosinistra allargato?
Interrogativo tanto più importante se rapportato, per esempio, alla manifestazione molto partecipata di Milano due giorni fa contro il razzismo. Nei fatti, si è trattata di una chiamata in piazza per mostrare la parte di Paese che “non ci sta”, che non si riconosce nelle politiche sull’immigrazione del governo Di Maio-Salvini.
Un evento identitario che, oltre a voler comunicare al di fuori ciò che si è, ha avuto la funzione di riconoscersi tra simili, specie alla vigilia delle primarie. Con il rischio, però, che il riconoscersi nel centrosinistra si riduca a null’altro che all’opposizione a Matteo Salvini. Accadeva un tempo, all’epoca dell’Ulivo, in funzione antiberlusconiana, accade oggi ai tempi del governo giallo-verde.
Se di nuovo corso si tratterà, Nicola Zingaretti – e tutti coloro che sostengono la sua leadership – dovrà fare i conti con la subdola tentazione di limitarsi alla propaganda anti-salviniana. Il pericolo c’è, è concreto e si è materializzato in questi primi otto mesi di governo.
La criminalizzazione di una parte dell’elettorato è sempre stata una pessima pratica. La maggior parte di chi vota la Lega di Salvini non lo fa perché è razzista, ma perché si sente, a torto o a ragione, dimenticata dai restanti partiti.
È quel ceto medio che si è indebolito, impoverito, che vede i propri figli in perenne ricerca di un lavoro che non c’è e quando c’è, è sottopagato. E tutto, compresi i migranti che cercano una vita migliore, viene visto come minaccia al proprio precario benessere, con il conseguente malessere sociale vissuto o anche solo percepito.
Se anche il centrosinistra allargato di Nicola Zingaretti continuerà a irrigidirsi in concetti manichei, non guadagnerà consensi. L’impostazione ideologica che vuole i cattivi da una parte e i buoni dall’altra non fa altro che far guadagnare consensi a un governo e a un leader, Matteo Salvini, che lo scontro lo cerca, lo crea, lo desidera.
Poiché proprio in virtù dello scontro, può continuare a riempire lo spazio mediatico di nemici reali o immaginari, contrapposizioni quotidiane, potendo tralasciare il governo reale delle cose.
Perché, in fin dei conti, la vera opposizione al governo Di Maio-Salvini – così come a tutti i governi degli ultimi 30 anni – è quella liberal-democratica, che si riconosce nell’Europa, nel libero mercato, nell’abbattimento dei monopoli e oligopoli diffusi nel nostro Paese, nel riformismo, nella creazione di ricchezza e nel conseguente benessere diffuso, compreso lo sblocco dell’ascensore sociale.
La sinistra allargata di Nicola Zingaretti già oggi si trova davanti a una scelta: decidere se vuole essere una riedizione pasticciata dell’Ulivo che fu, oppure un nuovo e innovativo – almeno per il nostro Paese – polo liberal-democratico. Nella prima ipotesi perderà molto bene, nella seconda, potrebbe vincere e fare le necessarie riforme.
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