Governo
LA SQUADRA DI GOVERNO. COMPROMESSO AL RIBASSO
La politica è l’arte raffinata del nobile compromesso. Era il mantra, canovaccio di uomini di spessore come il cardinale Richelieu e Mazzarino, entrambi ministri delle monarchie francesi, passati alla storia, nel XVIII secolo, per queste nobili ragioni: governare al meglio anche pagando lo scotto dell’incoerenza.
Quando il compromesso non è al ribasso e non diventa ciarpame, può anche essere digerito, sopportato, ma non di certo condiviso.
Draghi, nello scegliere i ministri, non è stato decisore di ultima istanza, non ha forzato l’impalcatura del politicume come avrebbe potuto. Si è fermato, perché ha pensato che costoro – i peones del Parlamento, i capi bastone – devono comunque votarmi e possono tradirmi, soprattutto se alcuni provvedimenti dovranno passare con il voto segreto. Da qui, perché la politica è l’arte del possibile – si identifica nella realpolitick di Ottone di Bismarck – nella consapevolezza che con questo legno bisogna costruire l’arredo – un apparente cedimento ai baroni del voto in Parlamento.
E così è stato. Non si spiega che Forza Italia abbia indicato nella rosa dei ministri la Gelmini e la Carfagna e non Tajani.
Si tratta di una rappresentanza femminile già vista all’opera e senza lusinghieri risultati. La Carfagna, del resto, non sta lì per meriti politici. Ricordiamolo che fu presa di punta nella famosa lettera a “Repubblica “ scritta da Veronica Lario, ex consorte, ai tempi del Bunga Bunga di Berlusconi.
La Gelmini è stata un pessimo ministro della pubblica istruzione.
Bene l’ingresso di Giorgetti, capace di essere un buon mediatore e di avere lo spessore per interloquire con il mondo economico ed imprenditoriale che gli riconosce statura e credibilità.
Di Maio è una pillola amara da deglutire, perché non conosce le lingue e sta all’estero più come rappresentanza di poltrona che come capacità e principio di competenza. Di fatto – e meno male – il ministro degli Esteri è Draghi.
Rientra nel compromesso al ribasso anche il regalo a Grillo per il ministero dell’ambiente.
Negli altri dicasteri strategici – interni, economia, giustizia, salute – Draghi ha condiviso uomini che godono della sua stima.
Forse in questo ha detto la sua, per esempio nella scelta di Daniele Franco, tecnico di Banca d’Italia e della Ragioneria di Stato.
Alla cultura, tuttavia, poteva andare Vittorio Sgarbi, tecnico di prestigio ed intellettuale di valore indiscusso.
In buona sostanza questa squadra è un compromesso, forse non digeribile. Ma al Presidente del Consiglio non interessa dei ministri che non contano, ponendo nei ruoli chiave quelli di spessore, si pensi la Cartabia alla Giustizia.
Ecco, Draghi questo ha patito. Vada per il ciarpame per alcuni ministeri, ma nei posti chiave metto e condivido i migliori o quelli a me consoni. In questo è consistito il compromesso.
Lo aspettiamo sul programma sperando che sia più coraggioso.
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