Governo
La sondocrazia delle bolle mediatiche
Il 18 luglio 2019 (ormai un lontanissimo puntino nel tempo che fu), l’allora vicepremier Salvini si preparava a imperversare per le spiagge italiane, sospinto da qualche mojito e da intenzioni di voto ormai intorno al 36% (tendente a salire) per il suo partito, mentre l’altro vicepremier Di Maio postava un video, ormai custodito nei nostri musei archeologici, in cui dichiarava: “io col partito di Bibbiano non voglio averci nulla a che fare. Col partito che in Emilia Romagna toglieva i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderseli, io non voglio avere nulla a che fare”. Proprio in quel remoto 18 luglio 2019, un sondaggio Ipsos dava il Movimento 5 Stelle inchiodato al 17% ottenuto alle elezioni europee, un mese e mezzo prima.
Sempre Ipsos, in un più prossimo 29 agosto 2019, rilevava che la Lega di Salvini aveva perso 4 punti dopo la “crisi al buio” e soprattutto a seguito dei numerosi testa-coda del “Capitano” (maggioranza finita, ma telefoni sempre accesi; mai al governo per le poltrone, ma anche mai dimessi dai ministeri; al voto subito, ma se Di Maio volesse fare il premier…), mentre il M5S aveva recuperato 7 punti in poco più di un mese: dal 17% al 24%. Se mai qualche istituto di sondaggi dovesse fare una rilevazione oggi, 4 settembre 2019, a seguito di un pomeriggio in cui tutt’Italia, dal Quirinale in giù, ha atteso – con una trepidazione che nemmeno il rigore di Fabio Grosso a Berlino – i risultati del voto su Rousseau, non stenterei a credere a intenzioni di voto vicine al 30% per il partito di Di Maio & Co.
La democrazia istantanea e istintiva ormai funziona così. Chi occupa la scena dando le carte, o dando anche solo l’impressione di dare le carte, vince e cresce. Istante per istante e senza la minima “àncora” culturale o anche solo di logica elementare. Chi dà le carte cresce, anche qualora dovesse rinnegare tutto il suo recente passato: ieri il capo politico di quei rivoluzionari che dovevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno ha detto: “il Movimento 5 Stelle ha garantito la stabilità di questo paese… Noi siamo e resteremo sempre l’ago della bilancia di ogni legislatura”. Il “centro occupato” dalla DC nella democrazia (bloccata) della Prima Repubblica è ormai il “sogno ribelle” – già oggi realtà – di chi è nato e cresciuto a suon di “mai con quelli”, “mai con quegli altri” e adesso è pronto a governare con chiunque. L’importante è farlo sempre con postura volontaristica (“o si fa come diciamo noi o niente”), dettando l’agenda (i famosi 20 punti snocciolati al Quirinale in stile da campagna permanente) e le condizioni (l’esiziale consultazione su Rousseau) e facendo così sparire dai nostri radar percettivi il nuovo partner di governo, che infatti nei sondaggi citati non si è mai mosso ed è apparso finora come un alleato-cuscinetto: andiamo al voto, anzi no; niente Conte Bis, anzi si; nessun diktat pubblico sui propri punti del programma di governo; nessuna obiezione al fatto che, dopo tanta fatica e rospi ingoiati, tutto sia stato rimesso al volere di qualche decina di migliaia di iscritti del M5S, alla fine e non all’inizio del percorso giallo-rosso. Alla faccia del libero mandato, della democrazia parlamentare, di un incarico già affidato dal Capo dello Stato, ma di fatto appeso fino a ieri sera…Una partecipazione tardiva che diventa di fatto un mini-televoto, elevato a “democrazia diretta” senza batter ciglio, da parte di nessuno. Guai a sfidare l’onda demagogica. E’ ancora così pop fare gli antipolitici. W la democrazia diretta esercitata dallo 0,8% degli elettori 5 Stelle, su una piattaforma privata, senza trasparenza nelle procedure (a parte un notaio militante e amico) e senza che quel mini-demos possa mai decidere quando votare, su cosa votare, né definire il quesito o le opzioni di scelta, né essere informato sui processi che hanno portato alla consultazione. Per me neanche il referendum è uno strumento di democrazia diretta, figurarsi Rousseau…
In ogni caso, il M5S non ha solo conquistato la centralità nello spazio politico (tra destra e sinistra), ha soprattutto riconquistato centralità nell’agenda mediatico-percettiva. Grazie agli autogol di Salvini, certo. Ma anche grazie a un PD che non riesce a competere con i partiti populisti nell’arena della politica iper-visibile, quella che conta per generare consenso. Resta un partito (parentesi renziana a parte) forte nel back-office, ma debole nel front-office. Con ottime relazioni con le élite nazionali e internazionali, ma (anche per questo) sempre più lontano dall’opinione della massa.
Se il piano del PD dovesse essere: governiamo con i 5 Stelle e facciamo come Salvini, prosciugandoli da sinistra… beh, in bocca al lupo. Salvini aveva la issue ownership dei temi-chiave dell’opinione pubblica: sicurezza, immigrazione, criminalità e sovranismo su cui ha saputo costruire una narrazione vincente che unisce tutti i nemici del popolo possibili (da Macron alla Merkel, da Soros alla Commissione Ue, dalle Ong agli immigrati, da Boldrini alla Boschi, da Renzi a Saviano). Ed è stato, al governo, davvero una “ruspa”, lineare sulle sue posizioni e apparentemente all’opposizione di un partner “indeciso a tutto” e vincendo praticamente ogni “braccio di ferro” interno alla maggioranza. Oggi il PD non detiene alcun tema-chiave per l’opinione pubblica, i 5 Stelle si (“in due ore tagliamo il numero dei parlamentari”, ad esempio). E soprattutto, Di Maio ha già fatto capire che stavolta quelli che faranno opposizione nel governo saranno loro, a partire dalle dichiarazioni al Quirinale fino al pomeriggio febbrile di ieri, passando per innumerevoli dichiarazioni secondo le quali “il PD parla solo di poltrone”, per oscurare il suo cruccio legato alla mancata vicepresidenza…
Come si pensa di “prosciugare” i 5 Stelle stando insieme al governo, ma non avendo le “armi” che aveva il Capitano? Secondo molti lo si può fare lavorando bene, facendo “cose buone”, riportando i dati macroeconomici in positivo… ecco, scordatevelo. Leggete Lakoff e portatevelo appresso come fosse un rosario per Salvini. Il voto non è un calcolo razionale, costi-benefici. E’ un atto simbolico e psicologico, mosso da impulsi ed emozioni. Da convinzioni (ormai) instabili, ma molto intense; potenti e polarizzanti, credibili più che vere.
Dietro le quinte, si può (e si deve) lavorare seriamente alle vere priorità del paese. E questo vale per tutti, anche la Lega ha i suoi Giorgetti, mentre Salvini imperversa su Facebook e in TV. Ma sul palcoscenico di questa interminabile serie TV che è la politica italiana servirebbero al PD:
- attori più performanti (un nuovo leader mediatico, il nuovo eroe);
- una sceneggiatura più convincente (una narrazione credibile, da sinistra, con “nemici del popolo” rinnovati, basta coi fascisti…),
- dominante (posizionarsi sui temi altrui serve solo a dare visibilità e consenso agli altri) e
- lineare (quanti galli cantano nel PD?);
- una potente call to action (perché oggi un elettore indeciso dovrebbe votare PD? Qual è il profilo d’immagine del partito oggi, a parte governare a tutti i costi e litigare su tutto?).
Ecco… provate a fare un confronto, ad oggi, tra PD e M5S anche solo su questi 5 ambiti. E datevi una risposta.
Il tutto considerando anche altre variabili (e costanti) di contesto:
1) Calenda è già fuoriuscito dal partito;
2) Renzi pare sia prossimo a farlo e peraltro ha in mano il timer di questa maggioranza, detenendo molti parlamentari. In pratica, il PD può addirittura rischiare di essere tritato dai 5 Stelle e dai renziani in simultanea;
3) le opposizioni non spariscono, anzi… Già oggi sono maggioritarie nel paese e se c’è una certezza, quasi una “legge politologica”, nella sondocrazia permanente in cui viviamo, è che chi governa si fa male e chi fa opposizione cresce (anche senza far nulla, vedasi proprio il PD nell’ultimo anno), per via della “cerimonia cannibale” (Salmon) che colpisce chi sta all’esecutivo;
4) collegato al punto 3), la democrazia istantanea vive anche di “bolle” mediatiche che alterano la percezione e assolutizzano l’istante. Renzi doveva governare per 20 anni… Salvini per 30 o 40… Oggi tutti guardano all’esecutivo nascente come a un governo “di legislatura” e danno Salvini per morto. Basta guardarsi indietro di qualche settimana per capire che anche solo pensarlo rischia di essere un azzardo micidiale. Se il danno d’immagine che il Capitano si è autoinflitto dovesse diventare un crollo, ossia una perdita totale di credibilità, allora forse è morto. Ma non è certo morto il posizionamento sovranista che galoppa ovunque in occidente e che all’opposizione funziona come una lama nel burro. Se poi il danno non dovesse rivelarsi un crollo… appena la bolla di attenzione spasmodica sul nuovo governo sparirà, prepariamoci a un Salvini incontenibile.
5) Last but not least, vuoi o non vuoi questo governo nasce per evitare le elezioni, tenere il capo della Lega lontano da Palazzo Chigi e allungare la legislatura (anche) per non concedere nomine importanti ai “fascisti”. Nel percepito non è una gran partenza…E, dopo aver temporaneamente “distrutto” il nemico, la pars costruens comincia da una finanziaria complicata e da un programma di governo ambiziosissimo (altro che una legislatura) con tanti “cosa” e senza neanche un “come”. A che prezzo? Presto lo scopriremo, tra governo e opposizione (nel governo).
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