Governo

La sfida per il modello istituzionale: prima contro seconda repubblica

20 Ottobre 2019

Gli eventi politici dell’ultima settimana hanno espresso un’opposta visione dell’assetto istituzionale del belpaese. Da una parte, ha fatto capolino il partito della seconda repubblica, espressione tanto della piazza San Giovanni gremita dalla destra, quanto della Direzione del PD che del lavoro di cucitura del Presidente del consiglio. Dall’altra, si affaccia il partito della prima repubblica, sostenuto dalle scorribande contro la Legge di Bilancio provenienti sia dal capo politico pentastellato che dalla stazione Leopolda.

I primi tendono a cementare alleanze fantasiose nell’ottica di una legge elettorale maggioritaria. I secondi tentano azioni piratesche sfruttando la libertà di fare e disfare alleanze, sperando nel ritorno di una legge elettorale proporzionale. La strana coppia Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti sembra intenzionata a ristabilire un centrosinistra che, pur cassando la vocazione maggioritaria veltroniana, ne riprende gli altri concetti. Un centrosinistra di buoni, responsabili, filo europeisti e ambientalisti, che si batte contro i barbari e le cavallette.

Al tempo stesso, Matteo Salvini sembra aver cessato di vedere l’Europa come nemico, per cui l’Euro va riformato ma non abolito. Il nemico è tornato quello di sempre, ovvero i comunisti pronti a tassare e martoriare gli innocenti imprenditori. Ha riempito una piazza dove sono comparsi gli altri membri del centrodestra, ha lisciato il pelo ai fascisti di Casa Pound e ha lanciato slogan già sentiti che avviano una normalizzazione berlusconiana.

I due opposti rappresentanti del partito della seconda repubblica sembrano non aver intuito la portata dei cambiamenti in atto, per cui la realtà contempla giravolte impensabili dieci anni fa. Se il trasformismo è una piaga, le mutazioni paiono troppo complesse per essere ridotte alla disfida tra barbari e comunisti. Ancora nel 2009, il modello liberista non aveva rivali, per cui la sfida PD – PDL verteva su due interpretazioni diverse dello stesso paradigma. La fase attuale di transizione politica, sociale e tecnologica ingarbuglia la matassa, tanto che non sappiamo cosa aspettarci dal futuro.

Ciò crea un vuoto per cui i partiti possono trovare sintonie variabili. Un nucleo centrale di forze può  allearsi escludendo eventuali estremismi, ad esempio, il Salvini agostano. In questo contesto, appare ideale una legge proporzionale in grado di garantire a vecchi e nuovi nemici di allearsi per poi attaccarsi, esibendosi in una danza in cui ciascuno cerca di strappare consenso. Nostalgia della prima repubblica, a fronte di una seconda ormai obsoleta. Così, Renzi e Di Maio sembrano tirare la corda sapendo che sarà ben difficile spezzarla, almeno finché non ci saranno mutamenti interni alla parte avversa. Solo in quel caso saranno entrambi pronti a possibili evoluzioni, allineandosi di volta in volta con lo spirito del tempo.

Si deve però ricordare che i partiti avrebbero il compito di plasmare lo spirito del tempo anziché semplicemente assecondarlo. Zingaretti e Salvini possono ridare un significato alla dialettica centrodestra-centrosinistra solo se non si limiteranno allo scontro ma costruiranno partiti solidi, radicati nella cultura e nella società. Partiti in cui gli iscritti avranno un ruolo nel plasmare due modelli sociali (e non istituzionali) diversi, su cui incentrare piattaforme elettorali, volte a sfidarsi in merito alla concezione del futuro. Inutile dire che è un lavoro enorme, il quale dovrebbe iniziare immediatamente per ottenere risultati fra qualche anno.

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