Governo
La sconfitta di Renzi e del Partito democratico. Un’analisi del voto
Forse non poteva andare peggio di così. Il risultato è devastante. Smentisce anche la possibile non-sconfitta di un Renzi battuto ma comunque in campo. C’è stato un voto di massa, popolare, per abbattere il Premier e sfiduciare il suo operato al governo del Paese. Usando il voto referendario, strumentalizzandolo fino all’esito desiderato e furiosamente voluto (secondo il centro di ricerca Demopolis il 70% degli indecisi ha scelto di votare per esprimere un giudizio sul governo Renzi). Nessuno ci avrebbe creduto, non con queste dimensioni e con questa ramificazione. Tutti i cosiddetti “deplorables” hanno voluto punire il Pd, dai giovani al Mezzogiorno fino alle periferie urbane e la provincia profonda. Il merito della Riforma è stato solo un pretesto, un insieme di topoi retorici con cui coagulare il vasto ed eterogeneo fronte anti-governativo, gettati via infatti appena arrivati i famigerati exit-poll ed ascoltate le affermazioni incredibili – per la loro assoluta incoerenza – di Grillo sull’Italicum, da rilanciare ora anche per l’elezione del Senato.
Parlare delle colpe personali e politiche di Renzi adesso è facile, in primis la personalizzazione, l’arroganza, il presenzialismo ipertrofico e la deriva plebiscitaria del referendum. Ma, più che del metodo di conduzione della contesa elettorale, bisognerebbe iniziare ad analizzare le motivazioni profonde che hanno prodotto l’enorme partecipazione e la sonora bocciatura. Eccone alcune:
- l’alleanza economico-sociale – architrave del fantomatico Partito della Nazione – con multinazionali, Confindustria, Coldiretti e tutto il mondo organizzato dell’imprenditoria non ha dato i propri frutti. Le politiche pro business ispirate da questa vicinanza si sono rilevate non sufficienti, ma soprattutto sono state tradite nella loro attuazione proprio dalle imprese stesse, come con la vergognosa esplosione dei voucher.
- la realizzazione di riforme sacrosante – come quelle sulla fallimentare, secondo tutte le statistiche internazionali, scuola italiana o per smantellare la legislazione criminogena della Legge Obiettivo grazie al nuovo codice degli appalti o per cambiare l’organizzazione della P.A. – dividendo e disintermediando il Paese, nel tentativo di superare il soffocante status quo.
- l’abbandono totale del Pd e del suo funzionamento per concentrare ogni energia sul piano del governo. Lasciando così il partito in preda ad una furibonda e correntizia lotta di potere, che ha allontanato sempre di più militanti ed elettori, senza creare una nuova classe dirigente diffusa. Appaltando inoltre le macerie rimaste sul territorio a veri e propri cacicchi locali.
- il tentativo di allisciarsi – senza riuscirci – l’elettorato di centro-destra, moderato, con politiche spot e dal fiato corto come la cancellazione totale delle tasse sulla prima casa, la rottamazione delle cartelle Equitalia o l’innalzamento del contate.
- una relazione difficoltosa con l’Ue e l’egemonia tedesca su Bruxelles, sempre in bilico e vicino ad una rottura che però non aveva un’alternativa percorribile da perseguire e realizzare, pure ad ogni costo se fosse stato necessario.
Un’analisi del voto efficace, che vuole rilanciare un programma ed una leadership palesemente sfregiati ed azzoppati dopo il referendum, non può prescindere da elementi come questi. Sennò non si potrà “rimettersi in cammino” ed affrontare, approfondendo anche esse, le note positive del risultato elettorale. Ma, al contrario, solo farsi travolgere dal fiume in piena della rivolta populista che ha colpito l’intero Occidente e che lo sta trasportando nell’era della Reazione globale.
[v. http://www.glistatigenerali.com/geopolitica_partiti-politici/lera-della-reazione-globale/]
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