Governo

La scatola vuota della leadership senza rappresentanza

26 Agosto 2019

Perché l’attuale leadership del Ministro dell’Interno per gli affari correnti ci appare così ridicola, quando prima sembrava invincibile? Il problema potrebbe essere il medesimo che affligge i partiti, ovvero l’assenza di una seria base elettorale, causata dalla continua ricerca di rappresentare tratti indistinti di popolazione. Partiti liquidi, dove prevalgono le figure chiave e non i corpi intermedi, creano leadership liquide, prive di precisi riferimenti sociali. Ciò non vale solo per il leader leghista.

Il continuo polarizzare l’opinione pubblica con scelte arroganti (e autodefinite epocali), non basta a spiegare l’odio che si è accumulato nei confronti di Matteo Renzi. Altri problemi potrebbero ricadere nell’elettorato di riferimento. Il leader fiorentino ha provato a rapportarsi con il popolo del centrosinistra come Berlusconi si relazionava con gli elettori di Forza Italia, in modo da pescare consenso anche tra questi ultimi. Non ha compreso che gli elettori del PD hanno bisogno di leader molto più morigerati e affabili, mentre i forzisti ritengono il centrosinistra figlio dei comunisti pronti a depredarli dei propri averi. La sua posizione è quindi parsa ambigua, in modo da alienare consensi da ambo le parti.

Beppe Grillo ha avuto un problema simile quando ha gestito la campagna elettorale delle Europee del 2014 con un’arroganza tale da consolidare una base di fedelissimi e far scappare tutti gli altri tra le braccia di Renzi. Dopo aver imparato dalla sconfitta, ha lasciato la guida a Luigi Di Maio e a Davide Casaleggio, in un concerto di poteri che potrebbe avere successo se il M5S avesse identità e obiettivi precisi. Al contrario, ognuno sembra seguire il proprio spartito tanto che la cifra massima dell’attività politica è la corta prospettiva del taglio dei parlamentari.

Il quadro è complicato dal fatto che il popolo italiano sembra prediligere i grandi leader populisti in campagna elettorale, e uomini pacati, istituzionali, di buon senso, meglio se religiosi, una volta al governo. Mattarella, Conte e Gentiloni, godono di elevati tassi di gradimento ma racimolerebbero pochi voti se si riciclassero come leader partitici.

La ridicolezza del leader leghista non sarà quindi causata dal mettere il piede in troppe staffe? Salvini si presenta come uomo pronto a tutto per sbloccare il paese ma si comporta da politico istituzionale tendendo di nuovo la mano al M5S, si piega a molte richieste degli Stati Uniti ma non riferisce dei soldi che potrebbe aver intascato dal loro nemico giurato, si dipinge come leader conservatore che bacia il rosario per poi comparire su djset con il mojito in mano e le cubiste in spiaggia.

Berlusconi aveva un patto con la chiesa cattolica, che lo proteggeva dalla sua ingombrante vita privata. Salvini si permette di attaccare il Vaticano perché troppo poco conservatore per poi mostrare una vita sregolata che piace all’uomo comune (più edonista che votato al martirio). Probabilmente, senza una base elettorale fidelizzata sia sui contenuti politici che sulla modalità di leadership, tali contraddizioni esaltano il leader nei momenti di forza, quando appare un personaggio spericolato in grado di giocare abilmente su più fronti. Allo stesso tempo, lo ridicolizzano nei momenti di debolezza, quando la sua proposta politica appare ondivaga e inconcludente, poco più che una scatola vuota.

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