Governo

La riunione di condominio

27 Aprile 2020

Nel mio condominio da almeno sei mesi si discute se mettere o meno le telecamere. Chi le vuole porre nel portone e nella chiostrina, chi anche per le scale e chi non le vuole assolutamente. Di riunione in riunione, ci si trascina l’argomento che è sempre all’ordine nel giorno, via via posto agli ultimi punti da discutere. Come un dessert. Ad oggi, pigramente abbiamo deciso, a maggioranza di decimi, che si richiederanno dei preventivi e poi, magari, prima o poi si voterà per il sì o per il no. Ma fondamentalmente, tutti sappiamo che non si deciderà mail nulla. Anzi, ci si trastulla nell’immaginare il momento nel quale finalmente si deciderà, favoleggiando sulla prossima riunione condominiale che derimerà il tanto controverso punto all’ennesimo ordine del giorno. E’ oramai un appuntamento fisso. Tutti se lo aspettano e tutti potrebbero restarci male, allorquando non se ne dovesse più discutere. Che poi, immaginarsi a decidere per queste benedette telecamere, vorrebbe dire abbandonare quella rassicurante abitudine a dibatterne. Io per la mia parte, resto sempre in silenzio sul tema. Mi nascondo, nessuno sa se sono a favore o meno. Perché sul più bello, mi mimetizzo nel bel mezzo della discussione, facendo le faccette accondiscendenti verso l’una o l’altra parte. Credo che sia gli uni che gli altri siano convinti che io sia dalla loro. Che meraviglia la dissimulazione del consenso che regalo ad una parte e all’altra.

Ed è per questo che solidarizzo con Lei, caro Presidente Conte. Perché mi rappresenta. Incarna il massimo riferimento comportamentale al quale ciascuno di noi, in una riunione di condominio, dovrebbe mirare. Non decidere, ma stando al centro, accondiscendenti verso l’una e l’altra parte. Lasciando nel dubbio incerto coloro che vorrebbero finalmente prendere una decisione. Protrarre sino all’ossimoro il momento della riflessione. Guardare paternalisticamente coloro che si accalorano, che prendono, ahi loro, una posizione netta, decisa e quindi discutibile. Che peregrini quelli che hanno votato un fiero “no” o un arrogante “sì” a queste benedette telecamere. Che pena infinita per questi che poi sono costretti ad argomentare efficacemente la loro presa di posizione. Dovendo dire il come e il perché. Sviscerando sino in fondo le loro ragioni, esponendosi al sicuro dissenso.

Non saprei se questa è un’arte che ci insegnano, oppure se viene spontanea, come la predisposizione al disegno o alla musica. Se appunto, la rara tecnica di dissimulare, facendo comunque sembrare che noi si sia sicuri e certi della nostra posizione ondivaga, sia come l’orecchio assoluto. Fatto sta che c’è chi ci nasce e chi, invece, non potrà mai impararlo. Noi ci siamo nati caro Presidente!

Caro Primo ministro Conte, io le sono vicino. Quando si appresta a dispensare le ultime nuove, che sembrano sempre le ultime vecchie. Quando accenna a un movimento, ma poi in realtà è un’illusione ottica. Quando, all’indomani di un estremo baccano istituzionale e mediatico, arriva con la sua proverbiale saggezza giuridichese e pare che lei possa trasformare un quadrato in un cerchio. Quasi soffiasse enormi e multiformi bolle di sapone e queste si alzassero nell’aria, nascondendo il momento esatto nel quale scoppieranno e “Pluf!”. Non ci sono più.

E ha ragione. Perché anche io, nel bel mezzo della riunione condominale, sento quella immane ingiustizia del dover prendere una decisione, di dovermi schierare a favore degli uni o degli altri. E allora, atavicamente, percepisco tutto il peso della storia e di tutte quelle generazioni che hanno – beate loro – potuto grandemente vivacchiare senza dover mai prendere una decisione. E mi pare un’ingiustizia – mia personale, ma pure sua – il fatto che ci si debba trovare a dire chiaramente quello che si vuole fare. E dover rispondere a tutte quelle sacrosante istanze – per carità, le telecamere nell’androne, i bambini che rimangono a casa con le scuole chiuse e i genitori che non sanno che fare, le mascherine che non si trovano, i mezzi pubblici a numero chiuso, le autocertificazioni che si devono stampare ogni santissimo giorno, i commercianti che chiuderanno bottega, il Pil che sarà mutilato, il Mes, le corse al parco, le messe alla domenica – ma che noi non abbiamo mai chiesto. Nessuno ci aveva detto che saremmo andati incontro a questo accidente della storia. Io con le mie telecamere e lei con questa immane tragedia del Coronavirus.

Che sfiga!

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