Governo

La riforma Meloni, il bisturi di Di Maio e l’accetta di Renzi

6 Novembre 2023

Come molti hanno sottolineato, la proposta di riforma costituzionale del governo Meloni sembra pura fantascienza distopica. Mentre imperversano le alluvioni, si aggravano le tensioni internazionali e cala il potere d’acquisto, nessuno sentiva bisogno di premierato. In questa situazione delicata, il governo sembra pensare solo a incrementare i propri poteri a danno del parlamento.

Dopo due riforme sonoramente bocciate dagli elettori, il governo di destra si occupa nuovamente della questione senza preoccuparsi di cadere nel ridicolo. Malgrado gli elettori appaiono stanchi delle grandi riforme, il governo insiste per la sua strada.

 

  • Il passato

Rispetto al passato, è interessante notare come il governo abbia pensato la nuova riforma. La devolution della Lega (al tempo Nord) e Silvio Berlusconi è lontana circa dieci anni dalla proposta di Matteo Renzi e dei suoi fedelissimi del PD. Queste riforme (bocciate senza appello) rappresentavano operazioni invasive, capaci di modificare molti articoli della carta costituzionale. Stravolgevano gran parte del testo per garantire maggiori poteri a un premier chiaramente disegnato dal popolo, a danno della democrazia rappresentativa.

Invece, la recente riforma che ha superato il referendum approvativo non ha stravolto la carta costituzionale. La proposta di Luigi Di Maio si limitava a diminuire il numero dei parlamentari. Anche questa riforma ha danneggiato la democrazia rappresentativa senza garantire alcun vantaggio per gli elettori, ma i danni sono stati limitati.

Ovviamente, la democrazia rappresentativa italiana ha tanti difetti, in primis il bicameralismo perfetto alimenta la burocrazia e rallenta l’operato del potere legislativo. Ma la bocciatura di ben due referendum dovrebbe instillare nel governo i dubbi sull’opportunità di una nuova riforma e sull’effettiva volontà della popolazione.

 

  • Il presente

Il governo Meloni prova una strada diversa, ovvero stravolge l’impianto costituzionale modificando pochi articoli specifici. Tra l’altro, un paio di interventi riguardano questioni che hanno poca presa popolare, come i senatori a vita. Sembrerebbe che il governo voglia usare il bisturi di Luigi Di Maio per fare un taglio con l’accetta come Silvio Berlusconi e Matteo Renzi.

Con un tratto di penna, il governo vorrebbe sostituire l’attuale assetto con un Parlamento che ratifichi le decisioni del Primo Ministro, con un Presidente della Repubblica passacarte, rendendo incostituzionali non solo i governi tecnici ma anche quelli d’unità nazionale. A tutto ciò si aggiunge una legge elettorale che non può che prevedere un larghissimo premio di maggioranza per la coalizione vincente, malgrado la Corte Costituzionale abbia già bocciato più volte tale ipotesi.

La riforma dovrebbe essere accompagnata da una folla trionfante per aver ottenuto l’elezione diretta del Premier e la stabilità del governo in nome del leader forte che viene invocato da tutte le parti. Ma è proprio così? La mia impressione è che il leader forte, dopo un po’, stanca (per non dire di peggio).

 

  • Il futuro

Gli italiani, come tanti altri, amano sfogarsi contro l’assenza di leadership e criticano le figure di Primo Ministro che non sono passate dalle elezioni. Ma tutto ciò è solo parte di una globale insoddisfazione per la politica e la società. Davvero si pensa che il leader forte sia la soluzione alle critiche? Personalmente, credo che i cittadini rimarrebbero delusi. Specialmente se tasteranno con mano che la politica è latitante non tanto per l’assenza di leadership quanto per la mancanza di partiti di massa che sappiano rappresentare le diverse classi sociali e opporsi ai potentati economici.

Giorgia Meloni rischia infine che il referendum elettorale sia partecipato da tutti i suoi critici, che nel 2025 non saranno solo le opposizioni, ma anche i tanti astenuti. Infatti, chi si è astenuto e chi si asterrà per sfiducia nella classe politica, non voterà certo per rafforzare i poteri di un governo che non ha votato. Potrebbe invece sentire il rischio di una svolta autoritaria che non gli permetterebbe neanche di sfogarsi contestando l’operato del governo di turno.

 

Immagine dalla pagina Facebook di Giorgia Meloni

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