Governo

Riduzione dei parlamentari, storia di un disastro comunicativo

13 Ottobre 2019

Il taglio del numero dei parlamentari non appare come un’operazione in grado di mutare radicalmente il quadro politico italiano, malgrado il brutto dibattito che ne ha seguito l’approvazione. Ai toni roboanti del M5S ha fatto da contraltare la riluttanza di PD e Italia Viva, tanto contrariati che il deputato Roberto Giachetti ha annunciato di raccogliere le firme per abolire quanto votato. La destra ha utilizzato il provvedimento per rivendicare un certo feeling con il popolo, rimarcando così l’incapacità di elaborare prospettive autonome dal semplice cavalcare il sentire comune.

Le forze politiche sembrerebbero aver approvato un provvedimento a malincuore, perché terrorizzate dalla possibilità di essere additati come poltronari dall’opinione pubblica. Motivazione poco lusinghiera, capace di annullare proprio quel feeling che si doveva creare, tanto che nelle chiacchiere da bar si vocifera già della preparazione di una scappatoia per introdurre nuovi incarichi ben remunerati.

La vittoria politica del M5S potrebbe essere mutilata dagli stessi toni trionfalistici adottati, in particolare dall’enfasi nel risparmio di soldi pubblici. Le parole del Ministro degli Esteri, in veste di capo politico pentastellato, lasciano pensare che gli italiani possano credere che otterranno diretti benefici dal provvedimento. Luigi Di Maio sembra dimenticare che, al netto di ciò che si legge sui social, gli italiani sanno fare bene i conti nelle proprie tasche. Oppure pensa che per concessione divina la diminuzione dei parlamentari avrà un effetto automatico sulla riduzione degli scandali?

I toni funerei della stampa e del PD sembrano invece dimenticare che l’antipolitica è stata spesso da loro cavalcata in modo da creare un sentimento con la popolazione che potesse concedere qualche voto in più. Il dibattito è talmente antico che si è dovuto attendere il terzo tentativo per ottenere un risultato. Al contrario di quest’ultimo, i tentativi precedenti includevano progetti di riforma istituzionali più ampi, in grado di bilanciare i pesi e contrappesi istituzionali innescati dalla diminuzione nel numero dei parlamentari.

Sfortunatamente, gli stessi meccanismi compensativi sono stati percepiti dalla popolazione non tanto come provvedimenti autoritari, come ventilato dalle opposizioni, quanto tagliati sul ceto politico dominante. Sia la devolution berlusconiana che la riforma renziana sono state interpretate come finalizzate a soddisfare l’infinito ego dei promotori e non l’interesse collettivo. Le storture dei due sistemi, anziché i lati positivi, sono prevalse nella narrazione politica e ne hanno determinato il fallimento.

Il M5S ha imparato da questi fallimenti e ha formulato una riforma minima, incontestabile dal cittadino medio. Una riforma umile, massima espressione di quella politica del cacciavite di cui Romano Prodi rappresenta il padre nobile. Una riforma che potrebbe avere effetti positivi se spiegata umilmente. La società si dirige verso un cambiamento epocale per cui i cittadini dovranno riformare i propri stili di vita, limitando i consumi e intraprendere un sentiero di sviluppo sostenibile. La riforma potrebbe rappresentare un buon esempio che la politica fornisce ai cittadini, gesto nobile che mostra come le idee possano prevalere sui numeri.

Al contrario, il M5S ha voluto insistere sulla mera antipolitica, mentre gli altri hanno giocato sulla difensiva. I problemi che ne scaturiranno non saranno tanto di rappresentanza e democrazia, come affermano i catastrofisti, quanto di funzionalità istituzionale. Un Senato ridotto a 200 membri non può continuare a farsi carico di tutte le leggi, pena il rallentamento dell’organo legislativo e la conseguente reazione esecutiva che non farà altro che mortificare le Camere. Prima di pensare alla legge elettorale o al ruolo del presidente del Consiglio, appare necessario continuare con la politica del cacciavite. Il Senato deve essere al più presto alleggerito delle sue mansioni, limitando il numero di temi trattati, e non coinvolgendolo nell’esprimere la fiducia al governo.

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