Governo
La paradossale manifestazione degli Statali in un mondo di precari
In un mondo di disoccupati, precari e finte partite Iva, scendono in piazza gli Statali, per chiedere il rinnovo del contratto fermo da sei anni. Una manifestazione che è uno schiaffo in faccia a una marea di altre categorie di lavoratori. L’autunno politico starà anche raggiungendo il punto di ebollizione, ma se gli Statali scendono in piazza, allora è giusto che vada a protestare pure il 40% di giovani disoccupati (per chiedere una vera politica per l’occupazione), il popolo delle finte partite Iva (reclamando il rispetto di almeno un diritto del lavoro, sceglietelo dal mazzo); i lavoratori precari da una vita che in caso di mancato rinnovo si ritroverebbe in una situazione davvero complicata, e anche i lavoratori dipendenti del settore privato, ai quali in molti casi non è stato imposto il blocco dello stipendio, gli è stato direttamente tagliato. Potremmo aggiungerci anche i piccoli imprenditori il cui lavoro è stato distrutto dalla crisi.
Quasi l’intero mondo del lavoro italiano potrebbe scendere in piazza con ragioni più valide degli Statali, il cui posto è comunque garantito e che possono godere di benefici che molti non-statali non sanno nemmeno che significhino (per dirne solo uno, gli straordinari pagati). Potremmo scendere tutti in piazza, tutti quanti, e fare una vera e propria guerra dei poveri, per decidere chi ha meno diritti e chi vive la condizione più difficile. Ma se tutti manifestano è come se non manifestasse nessuno (a meno che non si faccia la rivoluzione, che non sembra essere all’ordine del giorno).
Potremmo scendere tutti in piazza, se non fosse che Cgil, Cisl e Uil difficilmente organizzerebbero una manifestazione di finte partite Iva che rischiano di essere lasciate a casa da un giorno all’altro, senza né sussidi, né cassaintegrazione, né niente. Qual è stata l’ultima manifestazione sindacale in difesa dei precari? Ce n’è mai stata una? Il paradosso è quello di uno stato in cui chi difende i diritti dei lavoratori difende solo alcune categorie di lavoratori, e per la precisione quelle che godono delle maggiori tutele e dei fondamentali diritti.
Certo, la cosa migliore sarebbe scendere tutti in piazza. Tutti assieme. Per reclamare diritti sul lavoro estesi integralmente a tutti. Tutti con contratto a tempo indeterminato garantito da un articolo 18 di ferro e con strarodinari pagati con scatti ogni quarto d’ora. Diritti per tutti al 100%. Ma questa è una battaglia solo di principio, utopistica, che non potrebbe realizzarsi nemmeno in tempi di crescita e che è assurdo inseguire in tempi di crisi. Meglio allora, almeno in linea di principio, la limitazione dell’articolo 18 se come contraltare si ottiene l’estensione del diritto di maternità anche per le donne precarie (il che sarebbe un enorme segno di civiltà).
Cosa significa essere di sinistra, allora? Significa scendere in piazza in difesa di chi gode di tutele ferree mentre il resto dell’Italia che lavora affoga? Significa lottare strenuamente perché ad alcune categorie siano ancora garantiti diritti 100, mentre altre stanno a diritti zero? O forse sarebbe più di sinistra lottare perché i diritti vengano equamente redistribuiti tra tutti? E non si parli di “guerra tra poveri”; perché la vera guerra tra poveri è quella a cui si sta assistendo oggi, in cui ci si guarda in cagnesco l’un l’altro lottando per difendere il proprio osso ormai spolpato.
Una società armoniosa è una società in cui i diritti sono equamente distribuiti. E se è utopia pensare che si possa avere tutti diritti 100, almeno che si faccia 50 e 50 (o anche 70 e 30). I sindacati probabilmente l’hanno dimenticato, ma essere di sinistra significa stare dalla parte degli ultimi. E in questo momento gli Statali si trovano parecchi gradini sopra.
Devi fare login per commentare
Accedi