Governo
La glaciazione inevitabile
Non c’è nulla di scandaloso, anche se si comprende la noia di quanti sono affetti da sindrome da deficit dell’attenzione e non riescono a guardare a velocità normale nemmeno le serie di Netflix, in quanto sta accadendo con l’elezione del presidente della Repubblica e non ci sarebbe nulla di scandaloso nemmeno se dopo ampi giri si dovesse decidere di lasciare il mondo con me e di riconfermare l’attuale.
Quello che si è prestato alla riedizione di un gioco profondamente analogico nei tempi e nei modi come l’elezione del presidente della Repubblica è un parlamento stranito, delegittimato non tanto negli eletti quanto nella funzione da troppi anni di governo tecnocratico dell’emergenza, composto in maggioranza, ci torneremo, da persone elette per fare casino e che soprattutto sanno già per la grandissima parte di essere destinati a tornare alla vita civile di qui a breve.
Pensare che quell’assemblea di padri della patria casuali e attoniti, drogati di Twitter e di una pornografia del non fare prigionieri, del fare il culo agli avversari, dell’asfaltare come unica cifra del rapporto con i diversi potesse improvvisamente tirare fuori dal cilindro un presidente della Repubblica come li abbiamo conosciuti in epoche abissalmente lontane era esercizio vano, buono solo per l’indignazione di una stampa politica che ha in questi giorni questa si dato in maggioranza del suo peggio.
Si dovesse rieleggere Mattarella, come al tempo fu eletto Napolitano, si darebbe semplicemente atto che l’antipolitica ha in buona parte raggiunto il proprio scopo: la casta è stata rasa al suolo non tanto nei suoi rappresentanti attuali ma cosa ben più radicale, nella sua capacità di riprodursi. Per questa ragione quando in qualche modo Mattarella scadrà, questa volta del tutto, il Presidente che verrà sarà davvero un oggetto profondamente nuovo. Ma questo fa ancora parte della fisiologia dei sistemi politici, che presuppongono anche l’invecchiamento, la marcescenza, il crollo, l’incendio, come nelle foreste.
Da osservatore della politica trovo positivo che, a quanto sembra, anche un sistema politico in muta abbia trovato la forza per dire di no a tentazioni tecnocratiche che avrebbero queste sì alterato troppo profondamente le dinamiche della Repubblica. Indipendentemente dalle persone, pensare che a comporre le future crisi politiche ci potesse essere qualcuno mai passato formalmente nemmeno dall’elezione in un consiglio circoscrizionale era obiettivamente un’ipotesi molto bizzarra. Bizzarria che diventava orrore laddove si andavano a toccare, ripeto per il ruolo non per le persone, funzioni dello Stato (la polizia, l’esercito, i servizi segreti) che dovrebbero rimanere all’interno di una bolla igienicamente distanziata dalla politica (tra queste funzioni ci sarebbe anche la magistratura, ma lì ormai i buoi sono ampiamente scappati).
Il dato più preoccupante è che questa tornata elettorale certifica il profondissimo squilibrio tra le parti politiche che riguarda non più ormai il tema delle idee (tranne per qualche inclinazione, le idee dei partiti sono largamente intercambiabili e assai transeunti) quanto quello della funzione con la quale si partecipa al gioco politico. Normalmente coalizioni ampie e in qualche modo raffazzonate contenevano al proprio interno quasi specularmente tendenze ribelliste e tendenze più istituzionali, estreme e centro. L’elezione del capo dello Stato segna invece un ribaltamento profondo di questa consuetudine: e come se tutta la ragionevolezza si fosse concentrata da una parte e l’altra sapesse solo fare casino.
È un problema innanzitutto perché il centro destra, che esce ad oggi sconfitto da questo esercizio democratico innanzitutto per incapacità di proporre una figura di garanzia in qualche modo valutabile all’altra parte, continua a rappresentare una solida maggioranza elettorale nel paese. Dall’altra parte, e se fosse rieletto veramente Mattarella con il contributo di Matteo Salvini tutto questo sarebbe plasticamente rappresentato, abbondano le figure di uomini di Stato, abbonda la ragionevolezza, il prestigio internazionale, la capacità di garantire investitori e partner istituzionali. Abbonda tutto, tranne il consenso popolare.
Il centro sinistra ha pastorizzato ogni conflitto, in un’epoca nella quale i conflitti sociali sono tutt’altro che superati, ed è l’area politico culturale della modernizzazione e della ragionevolezza, ancora troppo legata agli anni 90. Il centrodestra ha prima progressivamente divorato ogni personalità con standing autonomo e poi, esaurita la riserva di personale politico della prima Repubblica, si è accomodata sul localismo spinto (per cui Luca Zaia sarebbe letto sicuramente Presidente della Repubblica Veneta, ma non andrebbe da nessuna parte passato il Mincio) o sul ribellismo senza sbocchi.
La parlamentarizzazione dei conflitti sociali era invece proprio quel tessuto poroso che permetteva alle ferite di cicatrizzarsi lentamente all’aria, senza diventare tutte piaghe purulente.
Il congelamento di Mattarella di Draghi e permette di immaginare anche cosa succederà dopo: l’anno prossimo si voterà e il centrodestra ragionevolmente conseguirà la maggioranza dei voti, tornando baldanzoso nei suoi propositi sovranisti e di continua scaramuccia con l’Europa, salvo poi ritrovarsi entro la fine della legislatura di nuovo messo a cuccia da qualche soluzione tecnocratica, che probabilmente consentirà di recuperare al gioco del governo personalità di un centro sinistra che con ogni probabilità avrà perso le elezioni anche perché incapace di dare voce dal campo progressista al malessere sociale, ma continuerà a capitalizzare su una classe dirigente con la testa sul collo.
I cosiddetti competenti e riformisti, gli stessi che con asprezza del ridicolo ed evidente l’incomprensione di dove si trovassero hanno, invero senza lasciare traccia, proposto fino all’ultimo soluzioni tecnocratiche e chiaramente impraticabili come quelle di Cartabia e Belloni, continueranno a saper scrivere i disegni di legge ma a non contare, e dico fortunatamente, assolutamente nulla.
Film già visti, che al peggio possono destare solo noia? Sicuramente sì se, al postutto, il sistema tiene.
Laddove invece l’apertura dell’uovo di Pasqua della fine della pandemia dovesse regalarci un’economia e una società indebolite e arrabbiate, che per evidenti blocchi nel sistema politico non hanno alcuna possibilità di trasformare i propri bisogni e le proprie pulsioni in reale e duraturo cambiamento, le cose sarebbero ben più serie e complicate.
Ma è però anche vero che oggi questo il sistema politico che abbiamo e con cui dobbiamo fare il pane. Non si vedono alternative agli attuali scassati e sopravvalutati leader, né, come dimostra l’epopea dei cinque stelle, ha senso realisticamente immaginare che qualcosa di contemporaneamente del tutto nuovo e abbastanza solido possa uscire dal corpo esausto del sistema politico.
Anche per questo quindi possiamo solo essere contenti di avere congelato la situazione. Ci penseremo nel lungo periodo. Se lo hanno fatto i Grandi Elettori sarà giusto così.
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