Governo

La fine del governo, della sua politica e la rottura generazionale

19 Febbraio 2016

Questa mattina ero convinto di trovare sui giornali l’allarme rosso sul programma di governo che per definizione trova il suo dispiegarsi nel bilancio della Repubblica. Un bilancio dello Stato non sono i numeri che vuole Bruxelles ma sono la traduzione della politica di un Governo nei numeri che Bruxelles dovrà esaminare nella loro compatibilità con gli accordi europei. Questo per chiarire, e ormai incredibilmente serve farlo, che o ci si ricorda che si fa politica, programmi, contenuti e diritti civili, o tanto vale affidare tutto ai ragionieri, come ci si appresta a fare con i candidati per la tristissima elezione del sindaco di Milano e, forse, di Roma dove lo slogan elettorale sarà “si salvi chi può ma Marchini no”.

Ieri l’Ocse nell’interim Economic Outlook, tappa intermedia rispetto al rapporto previsionale emesso ogni sei mesi, ha rivisto al ribasso tutte le stime di crescita a qualsiasi livello sia esso globale, regionale, nazionale. Stendiamo pure un velo sul fatto che il precedente rapporto di Novembre, non di un anno fa, dava indicazioni positive anche per l’Italia, sottolineando che le riforme stavano dando risultati ( ma all’epoca Renzi era ancora l’enfant prodige in Europa), non possiamo però fare lo stesso sulle conseguenze di quei numeri previsionali: essi dicono che il programma del governo italiano per il 2016 è, nei suoi contenuti politici, cancellato dai fatti. E siamo solo a febbraio.

Non c’è elasticità che tenga. Non c’è alcun margine per la opinabile restituzione dei capitali investiti in Banca Etruria o altre operazioni di ampia portata di stimolo alla economia. Zero. Una crescita intorno al 1%, salvo peggio, fa saltare ogni calcolo, condanna le nostre vite individuali ad un altro anno insopportabile e il Presidente del Consiglio e i pochi avveduti membri del suo gabinetto lo sanno bene.

Oggi siamo in attesa di sapere quanto e cosa spunterà Cameron per evitare la Brexit, sappiamo già che per l’Italia non ci sarà analoga trattativa se non marginale. Cosa farà il Governo italiano è un buio pesto però fulmineamente illuminato da uscite che spariscono appunto in un lampo ma fanno capire che qualcuno ne ha ragionato: l’intervento sulle pensioni di reversibilità. Sarebbe decisivo? No, e infatti si parla anche di patrimoniale, ponendosi poi il problema di chi abbia ancora quattrini per pagarla, ma è estremamente significativo che le pensioni di reversibilità non rappresentino un intervento che si muove lungo un asse di aggiustamento generazionale della previdenza, pur doloroso, ma una rottura dichiarata tra gli interessi delle singole generazioni, in primo luogo tra baby boomers e i Millenials. Non ho mai evitato di sottolineare questa frattura generazionale perché essa è iconograficamente il tratto distintivo del renzismo; non l’ho evitato perché di passare per vecchio o per altro non me ne frega nulla perché la politica non ha età, ha solo idee.

Il renzismo ha invece una narrazione e una sostanza diversa dalla mia: non ci si dimostra “giovani” semplicemente perché fa prendere voti rispetto a chi rappresenta il passato che ha fatto danni, che ci starebbe anche. Qui si vuole costruire un “prima” e un “dopo” che non ha solo ragioni di lotta politica nel PD ma di autentica cittadinanza, financo di legittimità di portatori di interessi contrapposti. Ma un conto se gli interessi contrapposti derivano da conflitti sulla distribuzione della ricchezza, un conto da una cosa che uno non sceglie, la propria data di nascita e di morte.

Possiamo dire che questo è l’effetto ritorsivo rispetto all’egoismo generazionale dei baby boomers del debito pubblico? Può essere ma mai essi sono stati un partito. Al contrario l’idea della rottamazione generazionale, sia essa nel PD o fuori, diviene da strumento elettorale ad aspetto identitario. Unico, peraltro.

Perché unico? Io vedevo in Renzi coraggio, capacità tecnica e sorprendente e positiva spregiudicatezza anche se, come altri nel passato, non ha mai lavorato per guadagnarsi da vivere: è appunto come altri un puro prodotto di selezione interna alla politica. Ne valutavo però l’intelligenza e nel dissentire su alcune uscite l’età era un aspetto contingente del quale, come disse Reagan contro Mondale, non bisogna avvantaggiarsi.

Oggi vedo un altro Renzi, anzi, una batteria di suoi cloni dalla Serracchiani ad altri dai nomi insignificanti che vengono a raccontarmi come sarà la vita mia e quella residua dei miei genitori, avendo io ancora la fortuna di averli. Non mi piace. Non c’è kennedismo in loro, o forse c’è in me, con largo anticipo sull’età, il reaganismo settantenne che non sopportava i giovani quarantenni georgiani portati da Jimmy Carter alla Casa Bianca: insopportabili non perché quarantenni ma perché autenticamente incapaci.

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