Governo

La fase 2 in un Paese quasi normale

21 Aprile 2020

Rispondendo ad una giornalista di Fox News che costruiva un azzardato parallelo fra HIV, Sars e Covid, Anthony Fauci ha ricordato come, anche quando non esiste un vaccino, la medicina è in grado di esprimere misure e trattamenti eccellenti che possono consentire il ritorno ad una vita quasi normale.
Ecco, ciò che dobbiamo interiorizzare davvero è il concetto di “quasi normalità”.

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Che, semplicemente, non è la vita di prima.

Quindi per molto tempo resterà ancora una priorità adottare tutti quei comportamenti e quelle precauzioni utili ridurre il numero di contagi.
Certo sarà complesso.
E spesso apparirà frustrante se ci lasceremo trasportare dal paragone semplicistico con altri paesi che per storia e condizione della macchina statale potrebbero impiegare meno tempo.
Questa complessità la ritroviamo nelle due immagini della settimana appena trascorsa: la spiaggia di Rimini – dove due poliziotti municipali corrono goffamente verso un innocuo cittadino steso al sole – e il parco di Berlino con decine di famiglie stese sull’erba.
Secondo moltissimi infatti, i due scatti sembrano rappresentare l’impietoso parallelo fra chi la fase due ha cominciato a programmarla quando ancora la fase uno era nel pieno e chi – semplicemente – non l’ha fatto.

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In parte è vero ma è un paragone superficiale che non tiene conto della condizione di partenza di questo Paese.
Non siamo la Germania e neanche la Francia o la Spagna.
Il nostro è un Paese che da almeno un trentennio vive una crisi strutturale profonda; un Paese che per lunghi tratti è stato governato da classi dirigenti politico economiche molto al di sotto della bisogna.
Non ricordarlo è finzione.
Come finzione è ritenere che qualunque decisione presa oggi non sarà soggetto di conflitti, accuse e controaccuse, come è nell’ordine naturale delle cose in democrazia.
Chi fa riferimento alla ricostruzione del dopoguerra come esempio sbaglia.
Gli anni dal 1948 al 1953 sono stati gli anni della massima conflittualità politica con decine di morti ammazzati: da Portella delle Ginestra alla repressione degli scioperi operai.
Conflitto su tutto: come ad esempio la collocazione internazionale o gli aiuti americani che in questi giorni sembrano rivivere nei sondaggi sugli “Frineds Government / Enemy Government”.
E stavolta sarà lo stesso.
Pensiamo allo smartworking: nei giorni passati un interessantissimo articolo del NYT ha raccontato come anche il Giappone dei robot e della ricerca, quello che tutti noi immaginiamo come uno dei paesi più moderni al mondo, abbia grandi difficoltà a far abbandonare alla sua burocrazia l’abitudine alla carta, ai bolli ufficiali ed al fax.
Ripensare, seriamente, un’Italia smart sarebbe stato importante ieri per lo sviluppo ma diventa essenziale oggi con l’obbligo del distanziamento.
Guardiamo ad esempio a tre grandi settori di servizio: scuola, uffici amministrativi e trasporto pubblico.
Nel primo abbiamo plessi inadatti e una didattica a distanza difficoltosa per la cattiva qualità della nostra rete; nel secondo un evidente gap digitale di addetti ed utenti; nel terzo una delle reti di trasporto pubblico locale peggiori d’europa per frequenza e diffusione dei servizi.
Qualunque fase due italiana si porta dietro tutti i problemi che il Paese aveva già prima della pandemia.
Un decisore democratico che risponde all’elettorato e dopo aver assunto una decisione vede il ritorno di una fiammata infettiva che cosa potrà dire?
E’ come se fosse Conte a decidere se dimettere un ammalato.
Per la prima volta l’intreccio tra politica-scienza e relazione con la vita dei cittadini è così stretto nella storia umana, per questo è stato coniato da Foucault il termine di biopolitica.
Si tratta delle scelte più difficili e comprendo che si cerchi di evitarle anche per la intrinseca debolezza della politica italiana che è uscita dalle elezioni del 2018 senza alcuna rotta e con governi di necessità fatti di polarità opposte e non di alleati.
Per questo Conte si circonda di comitati e sottocomitati che apparentemente allontanano la responsabilità da lui ma che non possono decidere proprio per la loro natura.
Dar fiato a qualunque malcontento è facile ma la verità è che oggi o la riapertura è un reticolo complicatissimo di regole e di blocchi (per età, per luogo, per attività economica) oppure è un rompete le righe che porterà ad altri lockdown e migliaia di morti.
Costruire questo reticolo è scontrarsi contro mille interessi e contro anche la stanchezza degli italiani dopo due mesi di blocco.
E questa idea dell’immunità e delle app va detto che è solo una dolce speranza per il semplice motivo che non sappiamo neppure se chi è ammalato è immune visto che ci sono centinaia di casi di persone che si riammalano in Corea e anche in Cina.
Abbiamo test che danno ancora numeri alti di falsi positivi e di falsi negativi.
Abbiamo un solo vantaggio: se come dice Brusaferro in autunno dovesse tornare il Covid, lo conosciamo e abbiamo messo in piedi 3000 posti in rianimazione.
Questa che stiamo giocando è una partita lunga che richiede pazienza e programmazione.

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