Governo
La Costituzione non interessa più a nessuno, così diventa l’orto di casa Renzi
La modifica della Costituzione non è più un argomento mainstream. La tendenza, anche ridondante, di definirla «la più bella del mondo» è stata rottamata tra le accuse di gufare o di atteggiarsi a professoroni. Così in pochi trattano la questione. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, vuole portare a casa il risultato, indipendentemente dal contenuto della riforma. Una mossa in piena assonanza con il pensiero renziano, in cui il movimento è un obiettivo politico, al di là dell’esito prodotto.
La concomitanza con le fibrillazioni per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica non giova di certo al dibattito. Il toto-Quirinale, almeno tra gli addetti ai lavori, eccita gli animi in un caleidoscopio di nomi, più o meno attendibili (alcuni sono oggettivamente frutto di fantasia) che seducono molto di più del barboso confronto sugli Articoli della Costituzione. Eppure la riforma è destinata a produrre effetti per decenni sul sistema istituzionale italiano. Per intenderci non è una leggina cancellabile con un’altra legge ordinaria. La Carta costituzionale è una cosa seria. E, a dirla tutta, viene pure qualche dubbio che sia giusto affidarla a un Parlamento eletto con il Porcellum, cassato dalla Consulta per incostituzionalità. Beninteso, è tutto legittimo, ma forse è alquanto inopportuno.
Se proprio si volesse attuare la riforma con questo Parlamento, allora ci sarebbe da sviscerare la Costituzione Articolo per Articolo, passando al setaccio ogni punto e virgola, perché dovrebbe avere il sostegno pieno e convinto di gran parte di Camera e Senato, affinché il dettato costituzionale sia unificante e non divisivo. Non andrebbe dimenticato che è alla base della convivenza di una comunità. Invece, nella migliore delle ipotesi, diventa il terreno per un duello, l’ennesimo, tra “innovatori” e “frenatori”.
Alcuni punti non sono molto convincenti, ma il mio intento in questo caso non è di contestare il testo in maniera pedante. L’obiettivo è un sollecito per un confronto più ampio – non solo in Parlamento ma anche nell’opinione pubblica – affinché si possa comprendere che è comprensibile il mantra dei «costi da tagliare» e della necessità di «cambiare», ma non è secondario vagliare come farlo.
Il dibattito sulla riforma della Costituzione riporta in mente quanto è avvenuto con il Fiscal Compact, approvato in Italia nell’aprile del 2012. Ricordo bene che mentre si stava discutendo dell’inserimento del pareggio di bilancio nella carta costituzionale (non proprio una robetta), tutti guardavano altrove, salvo alcuni tenaci oppositori che all’epoca non erano ancora gufi, perché il termine non era diventato pop. La ratifica del Fiscal Compact arrivò senza grosso scalpore.
Per la riforma costituzionale abbiamo atteso tanti anni, possiamo anche concedere un tempo supplementare. L’importante è che non esca un risultato partigiano. Perché – è bene ribadirlo – si parla della Costituzione della Repubblica Italiana, non dell’orticello di casa Renzi-Berlusconi.
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