Clima
La Chernobyl cinese e il disastro lombardo
Cinesi inflessibili nel tracciare ogni minimo movimento, ogni transazione, ogni frequentazione dei singoli individui ma improvvisamente distratti nel comunicare il numero complessivo dei propri decessi da covid-19, ieri stranamente ritoccato al rialzo.
Adesso che l’evidenza scientifica ha screditato le cifre comunicate in questi mesi, si corre malamente ai ripari e ad emergere c’è la solita storia dittatoriale dell’insabbiamento.
Come Chernobyl insegna le radiazioni atomiche come i corona virus superano i confini e a misurarne gli effetti reali restano le nostre democrazie che, per quanto claudicanti, sono ormai state addestrate a un livello di trasparenza dove sono i cittadini a raccontare quello che succede quando lo Stato non sa o vorrebbe non sapere.
Così in questa vicenda sciagurata che ha davanti ancora tutta una storia da scrivere, sono stati i vocali su WhatsApp o i video postati sui social da infermieri, farmacisti, parenti delle vittime, medici, addetti alle pompe funebri e tutti i testimoni possibili a raccontare la disperazione e il coraggio di chi ha affrontato la dimensione biblica che la tragedia del virus ha assunto in certe zone.
Adesso però sembra aprirsi un capitolo nuovo dove si cercano di bilanciare le precauzioni legate alla prevenzione del contagio al mantenimento di un sistema economico che comunque non può reggerle.
Non ci vuole poi tanto a capire che la vita pubblica con annessi esercizi commerciali ed eventi viene decapitata. Quella che Gallera e Fontana non chiamano “fase 2” ma “nuova normalità” è una vera cazzata e non basterà il nomignolo che hanno trovato in regione per renderla più digeribile.
Se siamo davanti a un mondo che chiude, a spiagge inaccessibili, a bar e ristoranti dove si sta distanti e mascherati, alla sparizione dei concerti, dei cinema, delle palestre, degli eventi sportivi allora è inutile cercarne una versione miserevole e annichilente.
Che si inizi davvero a pensare a un mondo completamente diverso ma soprattutto alle ragioni che ci hanno portato qui.
E se anche tutto questo fosse deprimente, lo sarà molto meno del doversene accorgere progressivamente, con le abitudini che vengono cancellate, con la chiusura nelle case dopo il lavoro e con la quasi abolizione della vita sociale.
Forse ci serve una pausa più lunga, forse il vero lockdown è quello da fare rispetto a un modo di pensare, di produrre e di vivere che si deve modificare perché adesso non c’è un vaccino e anche se altri paesi si bullano di ripartire non basterà né a loro né a noi.
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