Governo

La bufala del price cap al gas

27 Luglio 2022

Lo dico con tutto il rispetto per l’attuale Premier – e porto come prova certa i numerosi articoli scritti da questo Radar Macroeconomico su Mario Draghi come qui https://www.glistatigenerali.com/governo/meglio-un-giorno-da-draghi-che/ e qui https://www.glistatigenerali.com/governo/l-heri-dicebamus-di-mario-draghi/– ma a mio avviso la storia del cap o tetto al prezzo del gas non sta, economicamente, in piedi.

Tutti ne parlano come di una grande idea e nessuno, o quasi, alza la mano.

Solo un esperto come Michele Polo, molto timidamente e con molti distinguo (autocensura?), ha cercato di dire che qualcosa non quadra.

Per capirlo credo che basti un po’ di Basic Economics. La fissazione del prezzo da parte di un consumatore (non da parte della domanda aggregata che per definizione di equilibrio di mercato fissa sempre il prezzo in interazione con l’offerta aggregata) è possibile solo nel caso di un monopsonio, vale a dire quando c’è un unico consumatore sul mercato.

Certo, sarebbe una bella cosa che tutti i consumatori di gas si coalizzassero e diventassero “un sol uomo”. È quello che (ormai da secoli….) cercano di realizzare i sindacati per fare in modo che i lavoratori non si presentino alla spicciolata davanti all’imprenditore (o agli imprenditori coalizzati) ma tutti insieme, secondo il famoso motto “l’unione fa la forza”. Purtroppo coi risultati che vediamo.

È vero che nel caso dei lavoratori è tradizione ritenere che essi non “domandano un lavoro” ma “offrono forza lavoro” e quindi i sindacati cercano di instaurare non un monopsonio (buono) ma un monopolio (cattivo…).

Ma credo che ci siamo capiti (e con l’occasione andatevi a leggere la voce trust di un vocabolario di inglese per capire il pasticcio lessicale e semantico).

Il problema è che:

1) non tutti i paesi europei la pensano allo stesso modo sul price cap. Qualcuno (Olanda) sta guadagnando dall’attuale fase di rialzo dei prezzi (+170% negli ultimi 12 mesi); qualcuno (Germania) ha qualche vincolo geopolitico di troppo; qualcuno (Francia, UK ma anche USA) ha fonti alternative; qualcuno (Spagna) ha preso altre misure.

2) quand’anche si riuscisse (con un miracolo) a coalizzare tutti i paesi europei, nel mondo ci sono molte altre nazioni consumatrici che non vogliono/possono/credono di unirsi al gruppo e alle quali la Russia può reindirizzare i suoi flussi. Non è immediato ma non è impossibile. India, Pakistan e Cina sono paesi consumatori. La Cina, ad esempio, ha aumentato quest’anno la sua domanda alla Russia di 30 mld di metri cubi e altri 50 saranno possibili con la costruzione di un nuovo gasdotto. Da notare che 80 miliardi sono la metà (!) delle importazioni europee.

3) il prezzo del gas non lo decide Putin ma un mercato mondiale di contratti future con scambi giornalieri per un equivalente di diversi miliardi di metri cubi/anno. Finora nessuno è mai riuscito a “mettere le braghe” non solo al mondo ma anche a un mercato future su una commodity con decine di produttori e centinaia di acquitenti all’ingrosso. Da notare che il “whatever it takes” di Mario Draghi, pronunciato proprio 10 anni fa, vedi qui https://www.glistatigenerali.com/governo/draghi-anatomia-di-una-frase-correggendo-la-treccani/, fu ritenuto credibile dai mercati anche per l’aspetto non trascurabile che veniva dall’unico produttore mondiale di euro (un vero monopolista): il presidente della BCE.

Dunque perché si parla di price cap?

Provo con tre ipotesi: a) spaventare la Russia e ridurla a più miti consigli (ma non mi pare abbiano abboccato); b) galvanizzare l’Europa su un obiettivo comune (ma sarebbe bene porsi obiettivi non illusori perché dopo l’illusione arriva sempre la delusione); c) boh?

Si può fare qualcosa? Certo: quello che il Governo sta già facendo, cioè, subito diversificare i fornitori, domani razionalizzare i consumi, dopodomani utilizzare le fonti alternative sostenibili. Tolto il price cap, è sempre l’Agenda Draghi.

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