Governo
La berlusconizzazione del Renzi comunicatore che a Ernesto non pensa più
#ErnestoStaiSereno, amaramente ironico e fin troppo scontato, è stato uno degli hashtag che sui social network hanno rappresentato una delusione diffusa per il modo in cui si sta concludendo il percorso parlamentare del ddl Cirinnà sulle unioni civili, ma che si sta rivelando una volta di più l’occasione per notare la degenerazione delle strategie comunicative di Matteo Renzi.
La distanza tra gli elevati intenti riformisti, conditi di annunci roboanti, e i risultati concreti della sua azione di governo, ben più modesti ma convintamente salutati con toni entusiastici, inizia ad essere veramente ampia per non essere colta da osservatori anche solo vagamente dotati di senso critico.
Se in passato abbiamo assistito a tweet autocelebrativi davanti a timidi “più zerovirgola” riferiti al PIL e all’occupazione, in questo caso – per la prima volta forse in questi due anni di governo – Renzi si è trovato a doversi pronunciare dopo il conseguimento di una vittoria di Pirro. Va dato atto che il suo esecutivo è realmente il primo in Italia ad essersi speso con determinazione per cercare di agganciare l’Italia all’Occidente nel campo del riconoscimento delle unioni omosessuali e delle coppie di fatto, affrontando resistenze ultraconservatrici ampiamente organizzate nella società e in Parlamento; va al contempo riconosciuta però una battuta d’arresto del suo schema tattico di alleanze a geometrie variabili, che gli ha consentito finora di trovare, con una certa spregiudicatezza, maggioranze anche variabili a seconda dei temi.
Era la fine del novembre 2013 quando Matteo Renzi, impegnato in un confronto televisivo durante la campagna per la segreteria del Partito Democratico, esprimeva il suo favore nei confronti della stepchild adoption affidandosi al percorso retorico del racconto personale, dell’erlebnis e della personificazione per suscitare un’emozione positiva nei confronti di un caso concreto e prossimo, evitando speciosi discorsi astratti e di principio.
Oggi, incassata la legge sulle unioni civili solo grazie a una rinegoziazione al ribasso con le varie componenti cattoliche, Renzi non ha palesato dispiaceri né per il parziale insuccesso, né pensando alle aspettative delle famiglie arcobaleno con prole, ma ha affidato al suo profilo Facebook uno status trionfalistico:
La giornata di oggi resterà nella cronaca di questa legislatura. E nella storia del nostro Paese.
Abbiamo legato la permanenza in vita del Governo a una battaglia per i diritti, mettendo la fiducia. Non era accaduto prima, non è stato facile adesso. Ma era giusto farlo.
Leggo critiche, accuse, insulti.
Rispetto tutti e ciascuno, dal profondo del cuore.
Ma quel che conta è che stasera tanti cittadini italiani si sentiranno meno soli, più comunità. Ha vinto la speranza contro la paura. Ha vinto il coraggio contro la discriminazione. Ha vinto l’amore.
Se come minaccia qualcuno, io andrò a casa perché “colpevole” di aver ampliato i diritti senza aver fatto male a nessuno, lo farò a testa alta.
Perché oggi l’Italia è un Paese più forte. Perché oggi siamo tutti più forti.
L’amore vince ribadisce Renzi su Twitter, ma più che al tweet con cui il presidente degli Stati Uniti Obama salutò la sentenza con cui la Corte Suprema americana dichiarò incostituzionali le leggi statali volte a vietare i matrimoni gay sembra di entrare nel campo semantico dell’ultimo Berlusconi di governo e a quel L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio, fatica letteraria in cui nel 2010 il leader del centrodestra espresse la sua Weltanschauung.
Con queste premesse, se già i giudici e i comunisti nell’iconografia dei nemici sono stati sostituiti dai più generici gufi, viene da domandarsi cosa, nel racconto renziano delle magnifiche sorti e progressive, prenderà il posto dei ristoranti pieni e dei voli tutti prenotati.
Più seriamente viene chiedersi quale frattura con la realtà porti a reclamare con tanta enfasi una vittoria che è poco più di un pareggio e come l’ansia di autocelebrarsi non lasci spazio a un rammarico per Ernesto, ammesso che sia mai esistito, e per tutti gli oltre centomila ernesti italiani.
Perché mentre il presidente del consiglio azzarda un “ha vinto il coraggio contro la discriminazione” non è possibile che un ministro del suo governo sostenga (peraltro a margine di un meeting europeo…) di aver impedito “una rivoluzione contro-natura”. Senza dimenticare che poche ore prima un esponente della sua maggioranza, in aula, si era espresso prefigurando quale conseguenza delle unioni civili la piena legittimità di legami poliamorosi o perfino zoofili.
Insomma, davanti alle crisi, la retorica iperbolica della rottamazione continua rischia di non pagare, anzi di aumentare quella distanza tra cittadino e potere politico che in Italia è fortemente percepita e che si traduce nei più bassi livelli di fiducia, tra quelli riscontrati nei Paesi occidentali, nei confronti dei partiti e delle istituzioni. Un racconto più aderente alla realtà, più onesto, potrebbe consentire a Renzi di recuperare il consenso perduto dopo l’ebbrezza delle elezioni europee e a scongiurare l’idea di trovarci di fronte a una nuova leadership completamente autoreferenziale che ha sostituito il consunto showman televisivo con uno crossmediale.
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