Governo
La beffa dell’Italicum
Dalle colonne del Corriere della Sera, in un recente editoriale, Michele Salvati, facendo proprie le ragioni dell’Italicum, tesseva le lodi di un sistema capace di conciliare le istanze democratiche con un necessario decisionismo, per archiviare definitivamente il pantano politico e parlamentare dell’ultimo decennio.
Eppure, democrazia e decisionismo poco si conciliano dal punto di vista concettuale e logico.
Se democratico è il governo che rispecchia la maggioranza del popolo sovrano, allora l’Italicum non è un sistema in grado di assicurarne uno. E neanche è certo che la compagine governativa che uscirà dalle urne, per ora rinviate sine die, sia decisionista.
La legge del 1953, ribattezzata impropriamente “truffa”, tanto voluta dal governo di Alcide De Gasperi, era congegnata in modo tale che il premio di maggioranza venisse attribuito alla compagine politica, partito o coalizione di partiti, che avesse raggiunto il 50 per cento più uno dei consensi, ossia la maggioranza assoluta. Mai lo stesso De Gasperi avrebbe voluto “trasformare in maggioranza una minoranza”.
L’Italicum di Renzi, abbassando la soglia utile per l’ottenimento del premio di maggioranza al primo turno al 40 per cento del consenso, rende scontati due risultati: che si proceda sempre, o per lo più, ad un secondo turno e che, al ballottaggio, la lista vincente ottenga la maggioranza dei seggi a prescindere da qualunque percentuale di consenso. Ossia, al secondo turno, dato il sempre riscontrato calo di partecipazione rispetto al primo turno, la lista che vince potrà vincere anche con quote minori di voti. Questo significa che a governare e decidere tutto sarà una minoranza, e pure esigua.
I due massimi principi che l’Italicum vorrebbe perseguire – almeno a detta del Presidente del Consiglio, suo ideatore e promotore, dopo l’esperienza della legge elettorale regionale toscana – governabilità e rappresentatività, sono frustrati dai meccanismi previsti.
La governabilità non è affatto garantita da un sistema elettorale che vieta le coalizioni: tale ostacolo potrà essere superato dalla sintesi in un’unica lista di anime, correnti e partiti diversi, per raggiungere il traguardo, solo formale, della “lista della Nazione”.
Con un congegno simile non è soddisfatta neanche la rappresentatività: vincerà una minoranza, davvero minoritaria, degli aventi diritto con 1/6 di deputati nominati direttamente dalle segreterie o usciti da primarie, i cui difetti sono ormai collaudati.
Che il Paese abbia bisogno di una revisione profonda dei meccanismi decisionali e dei relativi centri, più o meno occulti, è incontestabile. Ma, almeno, si abbia il coraggio di portare ordine storico e logico, chiamando “truffa” ciò che davvero lo è e non quello che non fu.
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