Governo
La banalità del male di Hannah Arendt ed i custodi giudiziari
I custodi sono come i soldati, devono eseguire un ordine, non devono ponderare se esso sia giusto o sbagliato.
Anche se fosse contrario a principi o a precetti naturali va attuato, concretato, senza riflettere, ragionare, meditare, contrappesare.
Così è la struttura dell’art. 560 c.p.c., frutto dello scellerato “decreto banca”.
Il custode obbedisce al Giudice dell’esecuzione, il cui obiettivo è quello di liberare l’immobile da persone e cose.
Se si dovesse profilare un incidente di esecuzione è lo stesso Giudice, che sovrintende all’ordine di liberazione, a deciderlo, non un terzo, in barba a quello che ha stabilito l’art.111 della Carta Costituzionale, che contempla il principio della terzietà del Decidente.
Questo dato elementare è sfuggito ai redattori della norma.
Ed allora non è un processo questo: perché il debitore ha contro la forza tonitruante del custode e la parzialità del Giudice,che dovrebbe mettere in discussione i suoi provvedimenti in base al principio “re melius perpensa”: riconsiderare le proprie decisioni.
Il che non avviene mai.
Il custode non sbaglia e se errasse è protetto da chi lo ha nominato.
Dunque se un custode vede nella casa da sfrattare un moribondo, malato terminale come nonno Mariano, procede nell’eseguire l’ordine di liberazione? Si, implacabilmente.
Se durante l’esecuzione ci si imbatte con disabili, bambini inermi che all’indomani sono all’addiaccio, vecchi indifesi, l’aguzzino, “l’arnese della legge buia”continua imperterrito, con pervicacia ostinazione nella sua supina opera da repulisti?
Purtroppo sì.
Ed allora siamo alla “banalità del male”e richiamiamo Hannah Arendt, che scrisse un bellissimo saggio di filosofia politica sul processo che subì Eichmann, gerarca nazista responsabile ed esecutore della “soluzione finale” contro gli ebrei, da annientare nei campi di concentramento: “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”.
Eichmann non si rendeva conto del male che compiva.
Scrive Arendt: “Eichmann non era uno Iago né un Macbeth (l’autrice richiama personaggi di opere di Shakespeare n.d.a.) e nulla sarebbe stato più lontano dalla sua mentalità che “fare il cattivo” —come Riccardo III — per fredda determinazione. Per dirla in parole povere, egli non capì mai che cosa stesse facendo. Nella sua mente vi è la mancanza d’immaginazione. Non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità) e tale mancanza d’idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo. E se questo è “banale” e anche grottesco, se con tutta la nostra buona volontà non riusciamo a scoprire in lui una profondità diabolica o demoniaca”.
“Quel che penso– scrive Arendt al suo amico filosofo Scholem- è che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca”.
Eichmann era una “rotella”di un ingranaggio mostruoso che rappresenta “il governo di nessuno”: in uno Stato il più grande dei crimini è proprio rappresentato dalla mancanza di Giustizia, quando questa è sostituita dalla macchina burocratica.
Egli affermò al processo che non aveva mai offeso un ebreo: eppure fu l’esecutore della più orrenda deportazione. Aveva una ripugnanza per il male,ma era perfetto e magistrale esecutore di ordini orripilanti.
Eseguire uno sloggio è una mera pratica amministrativa, non giudiziaria, perché se così fosse, si dovrebbe riflettere, pensare anche ad un altro interesse in gioco: quello del debitore.
Se l’ordine è manifestamente illegale il soldato rifiuta la cieca obbedienza, il custode no: la macchina si inceppa ed il custode può essere anche revocato.
Perde l’incarico ed il lauto emolumento.
Non è uno sciocco, continua e passa anche sui cadaveri e strangola e devasta il corpo, con echimosi evidenti, per esempio come accaduto nello sfratto di nonno Mariano, malato terminale.
Sempre Arendt ci ricorda la spietatezza della macchina nazista che per lo sterminio degli ebrei, della “soluzione finale” dell’Olocausto attua il “massacro amministrativo”.
Così scrive nel suo splendido libro: “l’amministrazione della giustizia è un’istituzione ben poco moderna, per non dire antiquata. Hitler diceva che sarebbe venuto un grande giorno in Germania, quando la professione del giurista sarebbe stata considerata una “disgrazia”: parlava con estrema coerenza della burocrazia perfetta da lui vagheggiata”.
Nell’art. 560 cpc non esiste la legge, il giudice, l’interesse superiore dell’equità.
Questo non hanno capito i redattori della norma, ma neppure “i nuovi arrivati” che non provvedono a modificarla.
Se così fosse le banche perderebbero la pistola, ancora fumante.
Per questo si batte il leone: Sergio Bramini.
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