Governo
Alitalia dopo le elezioni inconcludenti
Sull’orlo dell’ennesima bancarotta nel dicembre 2016, Alitalia ha ricevuto un’iniezione di liquidità per traghettarla verso una ristrutturazione che avrebbe dovuto ricevere il consenso dei sindacati e dei dipendenti, per convincere i soci bancari italiani e l’araba Etihad a ricapitalizzare. Come ricordate, è andata diversamente: il referendum fra i lavoratori è stato bocciato e la società è stata subito commissariata, entrando in Amministrazione Straordinaria, il che ha reso praticamente carta straccia i suoi debiti.
Per garantire la continuità delle operazioni di volo, lo Stato ha concesso in prestito 600 milioni di euro da restituire dopo sei mesi, ma alla scadenza non solo il prestito non è stato rimborsato, ma è stato incrementato a 900 milioni.
Le regole europee di fair play non consentono agli Stati di falsare la gara sovvenzionando chi perde, soprattutto perché da decenni non si tratta più di una competizione fra aziende statali: le ex compagnie di bandiera sono private per intero o quasi e le low cost non hanno mai avuto nella loro storia uno Stato dietro le spalle, sono anzi chiaramente europee, perché operano da basi in tanti Paesi e non solo in quello in cui sono nate. Via via sono emersi tre gruppi multinazionali, quello che iniziando dalla tedesca Lufthansa ora arriva a comprendere Austrian, la belga Brussels Airlines e Swiss, perché per quanto riguarda l’aviazione la Svizzera è parte dello spazio aereo comune. Air France è con l’olandese KLM, mentre il terzo gruppo comprende British Airways, la spagnola Iberia, l’irlandese Aer Lingus e la low cost Vueling.
Fuori dai tre grandi gruppi che hanno consolidato tante ex compagnie di bandiera stanno solo quelle più piccole e marginali, che tirano a campare, spesso nell’attesa che un netto miglioramento dei conti permetta loro di diventare un acquisto interessante.
Fra loro Alitalia si distingue per la maggiore dimensione e purtroppo anche per una ben maggiore incidenza di perdite. Il prestito dello Stato è ammesso dalle regole comunitarie, che tutti gli altri Stati rispettano, soltanto se porta l’etichetta di prestito ponte, nel senso di ponte verso una vendita a nuovi acquirenti e per questo motivo tanto si è letto di interesse di altre linee aeree. C’è però seriamente da dubitare che l’Italia abbia mai cercato di vendere Alitalia, il gioco era chiaro, catenaccio in difesa, proclami che tutto va finalmente bene, mai supportati da qualcosa che somigliasse a un bilancio e grande sforzo per arrivare vivi alla fine della partita, cioè alle elezioni politiche, quelle di domenica scorsa.
E ora che abbiamo votato che cosa cambia? I problemi si sono magicamente risolti? No, si è soltanto risolto un problema che non era di Alitalia, ma del Governo Gentiloni e del PD che gli stava alle spalle: non andare alle elezioni dopo una vendita che avrebbe comportato migliaia di licenziamenti.
Una proposta di quel tipo è arrivata dal gruppo Lufthansa, ma è stata respinta con il motto di Delrio “Vogliamo vendere, non svendere”, di altri interessamenti seri non si è avuto alcun dettaglio.
Esaminando il campo di battaglia, come se si trattasse di una partita a Risiko, osserviamo che sono cinque i grandi gruppi UE che potrebbero comprare Alitalia. Un acquirente extracomunitario, come era Etihad, non potrebbe oltrepassare la soglia del 49% delle azioni.
Dunque dei cinque Ryanair è stato dichiarata fuori gioco a settembre con la canea dovuta ai problemi di carenza di piloti, che nascondeva il rifiuto dei sindacati di accettare le condizioni contrattuali nettamente peggiorative che questa soluzione avrebbe comportato. Il gruppo IAG di British Airways non ha mai avuto alcun interesse, perché per filosofia non vuole condizionamenti politici e sindacali e perché è già alle prese con le ignote conseguenze della Brexit. Lufthansa ha presentato una proposta, di cui non sono noti i dettagli, ma che comportava licenziamenti, che il Governo non vuole consentire. Air France ha paura di perdere i passeggeri italiani che il residuo di rapporti con Alitalia le dà, ma non vuole e non può permettersi di versare euro nelle casse italiane, essendo a sua volta alla vigilia dell’ingresso di compagnie aeree americane e cinesi per rafforzare la sua compagine azionaria e i suoi mezzi patrimoniali. Resta easyJet, che dopo la brillante operazione con cui ha assorbito le attività di Air Berlin nella capitale tedesca, cerca una nuova via di crescita esterna, per recuperare terreno nei confronti di Ryanair che almeno negli anni precedenti l’aveva sempre distanziata.
easyJet non fa voli intercontinentali, non ha in flotta gli aerei a doppio corridoio adatti (widebody), ha soltanto un’attività embrionale di transito fra un volo e l’altro, dunque è interessata ad uno spezzatino in cui qualcun altro rileverebbe la parte di Alitalia che si occupa dei voli intercontinentali. Chi? Il partner americano Delta, sostenuto dal fondo Cerberus, in cui forse non casualmente è appena atterrato il banchiere Nicastro, ex DG UniCredit?
Non si sa nulla, ma possiamo dedurre che, se in alternativa ai tagli occupazionali prospettati da Lufthansa ci fosse stata un’offerta che non prevedeva licenziamenti, il Governo e il PD avrebbero avuto tutto l’interesse a concludere la vendita felicemente e, come Brenno, farla pesare sulla bilancia della competizione elettorale.
Le elezioni hanno dato ampia maggioranza dei seggi a quelle forze elettorali, dalla Lega al Movimento 5 Stelle, che si sono espresse per il mantenimento di Alitalia in mano italiana, cioè dello Stato, cioè con i contribuenti che ogni anno versano nelle casse della linea aerea i soldi che perde. Non è una novità, non è una scelta di conservazione, è una scelta reazionaria, di ritorno al passato, agli anni ’70, ’80 e primi anni ’90 in cui così facevano tutti gli Stati europei con le loro compagnie di bandiera.
E allora perché no? Perché nessun altro Stato fa più così da tanti anni, tutte le linee aeree sono state ristrutturate, chiuse o vendute.
Aldilà del caso specifico, Alitalia è una cartina al tornasole del futuro economico del Paese in questa legislatura. La macchina inesorabile dell’Unione Europea, allertata da qualche concorrente di Alitalia indispettito, procederà a constatare che i 900 milioni sono un aiuto di Stato indebito, se Alitalia non lo rimborserà o non sarà venduta o chiusa. Facile immaginare le prevedibili lamentazioni contro Bruxelles, in cui nessuno nei media italiani ricorderà mai che solo Alitalia, solo l’Italia è in questa situazione. Tutti gli altri, almeno in questo settore, si attengono strettamente al fair play. Noi probabilmente faremo finta di essere stati sgambettati in area di rigore.
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