Governo
Italietta sarà Lei, non siamo tutti lupi
Non capisco: se io sto nel consiglio di amministrazione di una società quotata sono soggetto alla disciplina e alla trasparenza delle “parti correlate”. Il che in sostanza significa che non solo il mio agire ma anche quello dei miei familiari in senso esteso è soggetto a completa trasparenza per gli azionisti e gli organi di controllo, ma io sono soggetto anche a limitazioni della mia attività professionale. Limitazioni di tempo nella compravendita di azioni e limitazioni di affari qualora io sia cliente o fornitore della azienda quotata. Qui si pone il caso di bella rilevanza di un ministro che ha un figlio impiegato presso una azienda che ha rapporti continuativi di fornitura con il ministero presieduto dal padre. Punto, basta questo: in considerazione che qui non ci sono di mezzo semplicemente i quattrini investiti con discernimento dai risparmiatori ma quelli raccolti coercitivamente con le nostre tasse. Non bisogna appurare se il ministro ha sbagliato: è sbagliato.
Poi ci sono le indiscrezioni, politicamente devastanti, di un ministro che raccomanda il figlio (al fornitore). E le conseguenze sono di due profili: la scemenza di ministro e fornitore (che per i cinici italiani è l’aspetto più grave e pericoloso ma non mi riguarda) e l’ennesima sconfitta (di alcuni di noi e di alcuni giovani) dell’idea che il merito abbia cominciato ad essere un valore più forte del capitalismo relazionale in un paese che deve tirarsi fuori dalla palta e che può farlo solo se i talenti non se ne vanno.
Da ultimo c’è il Presidente del Consiglio che vuole rinnovare il Paese e non impone un costume rinnovato al suo governo: non ci può essere accordo politico di sorta su questa materia perché il signor Presidente del Consiglio dei Ministri (lo chiamo in causa con la carica istituzionale e non con il consueto nomignolo di Matteino per precisi motivi) ha fatto della differenza rispetto al passato la sua bandiera, il suo progetto politico, l’anima del suo agire e della sua legittimazione.
Da ultimo qualche considerazione personale e (ancora politica). Maurizio Lupi ha avuto la migliore occasione della sua carriera per mostrare con un fatto duro e concreto che è di una pasta diversa e di ben maggiore statura rispetto ai suoi colleghi nati e selezionati con la Seconda Repubblica: poteva affermare che bisogna cambiare registro perché lo pretende l’Opinione Pubblica e dimettersi senza essere indagato. L’effetto sarebbe stato un plauso generale, il silenzio sulle, al confronto di altre, piccole cadute di stile sugli abiti di sartoria e la perpetua esenzione sua e della sua famiglia da qualsiasi ulteriore scomoda indiscrezione. Con ogni probabilità avrebbe goduto del quarto d’ora di celebrità a tutti concesso e che a lui sinora era mancato; avrebbe lasciato un segno nella politica italiana avvezza ad avvitarsi sulla opportunità o meno di andarsene dopo un avviso di garanzia, dopo il primo grado, dopo il secondo grado o in attesa della Cassazione e/o graziata dalla prescrizione. Avrebbe forse anche salvato la sua carriera politica (e se ne sarebbe andato prima dell’Expo, non aggiungo altro…) La mancanza di un’imputazione formale non apre nemmeno la discussione tra garantisti e tricoteuses , si rimane nel nobile campo della politica.
Di quella chiamata nobile forse perché adottata dai Pari d’Inghilterra, dal Governo di Sua Maestà, dalla Opposizione di Sua Maestà e anche presso il Cancellierato della Grande Germania; meno a Bisanzio e ancor meno a Roma. Quanto vorrei che arrivasse Cromwell a spiegare come sapeva fare lui di andarsene e che non se ne senta mai più parlare.
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