Governo
Io sono Giorgia. Punto e basta
Che tipo di donna è Giorgia Meloni? Dal punto di vista morfologico sembrerebbe una donna come tante, non molto alta, bionda tinta nel long bob di Antonio Pruno, il suo parrucchiere, che ha cura nel vestirsi senza esibire le firmissime. Una donna comune.
Molto comune anche il modo in cui parla, pochi vocaboli, non si capisce se per scelta o per poca ricchezza di vocabolario. Spiccato accento laziale, che per un po’ può anche fare folclore però dopo un po’ viene a noia. Sembra sempre l’imitazione di qualcuno, un po’ Anna Magnani buonanima (enorme, straordinaria), più di un po’ Valentina Persia (insuperabile nei ruoli delle burine, che sono il suo forte), insomma, caricaturale. Lei si è sforzata di correggere quella cadenza percepita come eccessiva, e rispetto al passato l’è centori, ma resta sempre quel tanto che la riconduce a un limitato provincialismo. Non è per snobismo, ma proprio nun se po’ sentì.
Forse, appunto, perché ho nelle orecchie la Magnani di Bellissima! o dell’Onorevole Angelina che la parlata meloniana mi disturba. Famo a capisse: è perfetta per lei, come cittadina Giorgia Meloni, è un po’ indigesta per Giorgia Meloni come Presidente del Consiglio. Poi, certo, la gesticolazione, che è stata prontamente colta da Crozza nella sua non perfetta imitazione della Giorgia nazionale. Diciamo che Crozza ci prova ma il romanesco non gli vien bene e la caricatura migliore di sé stessa la fa proprio lei in persona, un po’ come De Luca, inarrivabile. Io il De Luca autentico lo adoro, perché è talmente arguto, talmente teatrale, talmente tutto che riesce a essere un mattatore straordinario. Anche perché ha sempre la battuta giusta al momento giusto, come quella di ieri sulle visite del Governo a Caivano, dove ha suggerito di montare un tendone per l’accoglienza viste le visite tanto frequenti. Se potessi lo inviterei ogni sera a cena con amici, ti risolve la serata uno così. Anche lì, Crozza è in difficoltà perché l’originale supera la caricatura.
La faceva molto bene Sabina Guzzanti, Giorgia Meloni, cogliendone l’essenza ridicola, con tutte le sue contraddizioni, fino in fondo. Perché se uno la sente parlare, il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri, ha l’impressione di sentire la maestra della prima elementare che spiega l’alfabeto ai bambini di periferia. Parole semplici, nella maggior parte dei casi, che pretenderebbero spiegare cose complesse, e, quando s’inoltra in cose più grandi di lei, parole un po’ meno semplici che però non funzionano molto nei suoi sillogismi, ossia sembrano funzionare perché lei prova a metterci un’intonazione convincente, ma per chi conosce la logica tutto ha poco senso. Per esempio, le basta dire che ciò che pensano del nostro Paese fuori dai patri confini non è vero per descrivere l’Italia come il Paese più florido d’Europa e, automaticamente, lei immagina che le cose da lei stessa proposte diventino realtà e quindi che la gente le creda. Un po’ come i mantra, li reciti e ti senti a posto.
Inoltre lei, in questa posa da Supergiorgia, non sbaglia mai, non può sbagliare, almeno secondo la sua coscienza. Sbagliano sempre gli altri ma questo è assai tipico di queste nostre destre che, per emergere, devono sempre gettare merda sugli altri, siano i comunisti, siano i migranti, siano gli “invertiti”, anche se i pretesti sono appositamente inventati. Superior stabat lupus eccetera.
Forse ha studiato per corrispondenza o alla Cepu quei metodi molto americani in cui insegnano che per essere convincenti bisogna prima convincere sé stessi ripetendo ad alta voce allo specchio parole, gesti, sorrisi, occhiate, e usando toni di voce assolutamente inequivocabili. Un po’ come faceva Hitler prima dei suoi discorsi istrionici.
Dall’esterno, però, il risultato è estremamente caricaturale, non posso farci niente, Valentina Persia è sempre in agguato. Ma il mio non è body shaming, come si usa oggi per denigrare qualcuno. È osservazione di metodi retorici inadeguati per il soggetto in questione. Diciamo che Giorgia fa degli sforzi enormi per risultare credibile ma il problema sta a monte, ossia nella logica. Impossibile voler far vedere una cosa verde se è gialla, anche se tu insisti a dire che è verde. Il principio di realtà prima o poi svela la truffa. Anche perché se uno avesse dei dubbi potrebbe sincerarsi della realtà andando a fare delle ricerche sulla rete. Pochi lo fanno, in realtà, e questo è il problema principale della nostra società, perché bisogna impiegare tempo e materia grigia. Oltre a conoscere un pochettino la politica estera e masticare qualche lingua straniera in aggiunta all’italiano (corretto, magari).
Giocare colle cifre, come fa il governo Meloni, inclusi i ministri cognati, quelli dell’economia, quelli di ogni tipo, è una cosa che può ingannare le menti meno sopraffine, soprattutto quelle che hanno poca dimestichezza coi numeri. Ma i commercianti, la spina dorsale dell’Italia, essendo il nostro Paese votato al commercio storicamente più di tanti altri, non la pensano proprio alla stessa maniera e di numeri se ne intendono. La finanziaria di quest’anno è un bel pasticcio con tanta panna montata, pienissima d’aria, perché fa più effetto. Tremonti, all’epoca, non avrebbe fatto così male una finanziaria, ed era il tremendo Tremonti. Certo, bisogna rassicurare le masse perché le elezioni europee sono vicine, però non si può nemmeno mostrare come si sia proprio incompetenti coi numeri. Non si può continuare a danneggiare chi ha uno stipendio fisso e una pensione, soprattutto dopo aver urlato che i pensionati sarebbero stati difesi, così come, nelle intenzioni, sarebbero stati difesi i disabili. Invece forbici di qua e di là, senza mai colpire i grandi capitalisti. Anzi, magari li si fa ministri del turismo. Ma di proclami contraddittori Meloni ne ha fatti diversi, nel corso del tempo, come per esempio quello dell’uscita dall’euro, qualche anno fa. Urlato nei suoi comizi fino alla nausea. Perché urlare fa bene, convince di più. Dipende che cosa urli, naturalmente. Uscire dall’euro, come no, soprattutto in un momento simile. Ma poi, che senso avrebbe avuto e avrebbe? In cosa ci avvataggeremmo uscendone? Poi, una volta sedutasi sull’agognata poltrona, Meloni si è convertita all’europeismo e quindi l’euro resta. Miracolo di san Gennaro.
È, comunque, la sua, una visione sovranista, che sta sciaguratamente dilagando in Europa, vedi l’Olanda che adesso ha riesumato la sua anima conservatrice, per anni messa a tacere per comodità. Ovviamente adesso premerà per uscire dall’UE in stile britannico (fallimento totale), per riproporsi sul mercato come paradiso fiscale a tutto tondo. Già adesso lo è: Luxottica, Mediaset, Telecom Italia, Illy, Ferrero e tante altre imprese italiane hanno sede in Olanda per via di vantaggi fiscali, così come Google, Amazon e Facebook che da soli generano un fatturato enorme in Europa e un ammanco fiscale di circa 10 miliardi di euro per l’UE ma a tutto vantaggio dell’Olanda. Olanda che storce il naso sui problemi finanziari degli altri stati, tipo l’Italia. Ma non credo che le riuscirà molto bene l’uscita dall’UE, se ci sarà. Sono sempre le solite favole dei sovranisti, che hanno una visione ormai sconnessa colla realtà, solo per far presa con facili slogan e arrivare a solleticare la pancia delle masse arrabbiate e scontente perché sempre più affamate di consumo. Farage, dopo aver ottenuto la sua Brexit, ha fatto le valige e se n’è andato, tanto il guastatore lo aveva già fatto.
Giorgia Meloni fa le congratulazioni all’Olanda, all’Argentina (dove un’autentica caricatura di non so che specie di bestia è arrivata al soglio presidenziale), e a ogni partito di estrema destra che si fa avanti nel mondo. In Europa gioiscono i sovranisti non capendo che se ogni paese torna sovrano poi diventa potenzialmente un nemico e si ricade nelle secolari rivalità tra paesi che hanno causato guerre su guerre. Non voler capire questo, o facendo finta cinicamente di non capirlo, è, va da sé, un inganno.
Giorgia gesticola, un po’ volgarmente, va detto. Nel comizio di ieri alla Camera i suoi gesti colle mani erano goffi, da attrice principiante. Probabilmente non ha istruttori di gesticolazione, fa tutto da sola osservando i film in vernacolo, coll’effetto Persia sempre lì appostato. Che volete, è fatta così, chi nasce tondo non muore quadrato, è un detto popolare.
Poi, è poco attenta. Nella questione Giambruno, altra barzelletta, avrebbe avuto la possibilità, in quanto donna, chi meglio di lei, di dire qualcosa sulle donne molestate dall’ex-compagno. Avrebbe potuto accoglierle a Palazzo Chigi e dire loro che era mortificata per il comportamento esuberante del ragazzone, che anche lei faceva fatica a tenerlo a freno, magari rivelando che a casa, mentre preparava le tagliatelle, il ragazzone le dava scapaccioni a sorpresa e che quindi era proprio così, non c’era nulla da fare. Una parola in favore delle molestate sarebbe bastata per farla sembrare più simpatica. Invece è talmente concentrata su sé stessa che l’unica cosa di cui si è dimostrata capace è stato dire “Io sono pietra”. Boh, valla a capire. Forse voleva mostrare la sua inflessibilità, anche perché è convinta che come donna deve dimostrare il doppio di quello che un uomo normalmente deve fare per essere credibile.
La pietra però è di cartapesta perché lei non offre, nei suoi comizi, valide ragioni per essere creduta. Infatti sfugge a qualsiasi domanda che i giornalisti le pongano. I giornalisti, che peste. Indiscreti e villani. Lei, poverina, che sta sacrificando la sua vita per gli italiani, ma come si permettono di mettere in dubbio le sue parole?
Come Rebecca Solnit, Giorgia Meloni non ama che le si spieghino le cose, perché lei sa già tutto.
Ieri, a Montecitorio, c’è stato il dialogo da Commedia dell’Arte tra Meloni e Renzi, che come sempre demagogicamente, sia l’uno che l’altra, facevano notare le incoerenze reciproche. Lui che le ricordava le famose promesse elettorali – la diminuzione del prezzo dei carburanti e altre cose -, lei che invece rinfacciava a lui la sua amicizia colla famiglia reale saudita e che, visto che parlava tanto di carburanti, la utilizzasse per aiutare il Paese e l’energia. Rivoltando la frittata e dando la colpa della propria inettitudine a lui. La scena, surreale, sembrava davvero organizzata dai comici parodisti, anche perché si sa che non è il re dell’Arabia Saudita che stabilisce il prezzo del petrolio ma una serie di paesi tutti insieme (ogni paese, però, stabilisce le accise da incorporare nei prezzi, come l’Italia), mentre dall’altro lato non si può che ricordare come il nostro eroe di Rignano consideri l’Arabia popolata da Leonardi Da Vinci forieri di un Rinascimento prossimo venturo. Una partita tra pagliacci. Eppure è la realtà.
Se, in un primo momento, poco dopo l’incoronazione, gli attacchi che ha subito Wonder Giorgia sono sembrati rafforzarla, per via di un effetto antagonista, forse perché le persone che l’hanno voluta si sono dette: – si è appena insediata, lasciamola lavorare e poi si vede -, oggi, davanti alle gaffe, alle inconsistenze del suo governo (i suoi ministri hanno veramente dimostrato di essere impresentabili), sia a livello interno sia a livello internazionale, e ai numeri circensi in Parlamento, mostrano che i sospetti erano fondati e che la mascherata non può durare in eterno. L’Onorevole Angelina dura poco.
Questa è Giorgia Meloni, non un’altra. Non può cambiare perché non è programmata per cambiare: lei ci ha messo una vita per diventare quella che è, in una famiglia di sole donne, costruendosi le sue sicurezze e scolpendo le sue asprezze, e non è intenzionata a rinunciarci perché pensa di essere nel giusto. Può solamente fingere, e in questo è bravissima: ha sopportato con pazienza e grande ipocrisia le uscite di Berlusconi, per anni, chiudendo occhi e orecchie, pur di giungere, alla fine a sedersi sulla poltrona di leader delle destre, quella occupata un tempo da lui. Come finge di non ricordare le cose che ha detto e fatto in passato, manifestando quell’ipocrisia di prima, che non riesce a celare sempre dietro un paravento, sport molto in voga tra fratellame d’Italia e affini e molto frequente nella politica, in generale. Però, è assai difficile nascondere qualcosa in un’epoca come questa, dove la rete conserva tutto ed è pronta a smentirti. Può raccontarti il romanzo “Io sono Giorgia”, spacciare la sua per famiglia matriarcale, visto che il padre è stato quasi totalmente assente, e che tutte le donne della sua famiglia si sono irrobustite nei loro ruoli, ma non riesce a nascondere che altri tipi di famiglia le fanno paura, non volendo accettare altri modelli se non quello, inesistente, che ha in testa lei. Le altre famiglie, semplicemente, non devono esistere perché causano squilibri nelle sue certezze.
Perché ce l’abbiamo con lei? Non ce l’abbiamo con lei e non è body o brain shaming, perché se lo fosse sarebbe assai più crudele. È semplicemente l’osservazione del linguaggio meloniano che si palesa, volenti o nolenti, che si aggiunge a ciò che colei comunica anche attraverso il corpo e i suoi gesti, inevitabilmente. Giorgia parla, si muove, riempie lo spazio colla sua presenza, proietta idee sgangherate assemblate da lei stessa o da ghost writer che cercano di connettere qualcosa di ancora più squinternato, ha un fare da ape regina senza essere né l’una né l’altra, e, inevitabilmente, si avvia al precipizio che l’aspetta, prima o poi. Precipitevolissimevolmente. Magari portandosi dietro tutti i suoi alleati, via, colla piena. Lei ne è cosciente e ne ha paura. Ecco perché se l’è presa così tanto con Lilli Gruber, che l’ha accusata di portare valori patriarcali. Non basta essere una famiglia di sole donne, Giorgia, per non essere “patriarcali”. I valori che si sostengono, come la famosa triade Diopatriaeffamiglia, continuano a essere simbolo di una strutturazione patriarcale della realtà, una visione maschile nel peggior senso possibile, basato su una concezione gerarchica arcaica, millenaria, che ha rivelato i suoi danni molto tardi e le cui conseguenze le viviamo ancora oggi. Pur essendo abbastanza lontani dal modello patriarcale di un tempo.
Speriamo che il precipizio arrivi presto perché il Paese è stanco di demagogia, non ha bisogno di ponti sugli stretti ma ha necessità di guarire dalle ferite, non di metterci sopra l’acqua di Lourdes, ché poi va tutto in setticemia.
Amen.
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