Costume
Intelligenti e informati, abbiamo un problema
Sono titolare di green pass per essermi doppiamente vaccinato non appena le traversie della Regione Lombardia me l’hanno permesso e così è tutta la mia famiglia allargata. Quattro anni fa poi ho rottamato la mia ultima auto e tre anni fa ho venduto il mio scooter e giro solo in bicicletta, treno e con mezzi in sharing, spesso e volentieri elettrici.
Sono in altre parole un cittadino informato e consapevole, burionianamente e thunberghianamente corretto, che comincia però ad avvertire crescenti fastidi verso fenomeni e comportamenti che sembrano continuamente smentire proprio quella olimpica superiorità che si vorrebbe attribuire a noi, che ci siamo vaccinati e che rispondiamo positivamente alle sollecitazioni e agli imperativi del mondo e della Scienza.
Penso innanzitutto al fenomeno dei “no green pass”, bollati come una marmaglia fangosa di facinorosi, fascio terroristi, terrapiattisti e lunatici (cosa che per molti versi sono), ma che sono e restano tantissimi, milioni.
Ora, in politica, se milioni di persone continuano imperterriti a rifiutare qualcosa nonostante il disprezzo dei (ben)pensanti e della stampa grammaticata e le microvessazioni del Governo (che non ha avuto il coraggio di obbligare a vaccinarsi, ma preferisce rendere la vita difficile a chi non la fa come microritorsione per quanto l’obiettore rompe le palle a tutta la comunità) questo non è più un problema di lunatici, diventa un problema per l’appunto politico.
Il che non significa che abbiano ragione, è evidente che hanno torto marcio e che stiano facendo pagare le loro fisime alla collettività, ma che la camera dell’eco non funziona, e di “no green pass” non ne stiamo conquistando manco più uno. È un cavolo di problema, che chiama a fare qualcosa, che non sia più solo parlarsi addosso, cifra della comunicazione contemporanea.
Fossimo ancora capaci di pensiero critico, dedicandovi un ennesimo della forza che dedichiamo a sollevare e scagliare pietre, dovremmo riavvolgere il nastro e interrogarci su quello che in questo anno e mezzo ipermediatizzato non ha funzionato.
Ne dico una: abbiamo innalzato un totem cretino agli “esperti”, che ne ha leso per molti anni a venire molta della credibilità, persa ad ogni deviazione (e sono state molte) dalla precedente affermazione apodittica su come il virus sarebbe progredito, come si sarebbe dovuto combattere, come e quando sarebbe sparito. Colpa della struttura della comunicazione (che sta evolvendo sempre più verso modelli tossici di superficialità, sciatteria e soprattutto ricerca del freak a ogni costo) da un lato, della vanità dei Sapienti dall’altro e soprattutto della debolezza della politica dall’ultimo. Perché la questione è politica.
Io sono molto affezionato alla definizione di politica del politologo David Easton: politica è “assegnazione imperativa di valori” a una comunità. Valori che sono norme, premi, obiettivi, tabù e che mutano al mutare dell’agenda dell’autorità che li emana, sia essa a base democratica o la più vieta autocrazia. A me interessa moltissimo come questi valori si attribuiscono, perché spiega molto lo stato di salute di una comunità, che oggi è tutt’altro che buono.
Lo dico pur condividendo la sostanza dei messaggi che passano, ma non assolutamente la forma. È importante salvaguardarla invece la forma, perché domani dall’altra parte potrei esserci io a protestare per qualcosa lontano dal mainstream e vorrei essere garantito, che è la ragione per cui le istituzioni prescindono SEMPRE la contingenza e le persone, e valgono a prescindere.
Mutuando la tendenza dei social a costituire e rafforzare i confini delle tribù, la discussione pubblica su troppi temi si sta sviluppando “a canne d’organo”, ognuna indipendente dalle altre. Peggio, in assenza di autorità della politica nell’attribuzione di valori, si è ritenuto che in un’era dominata dalla tecnologia questi dovessero essere decisi in Occidente dai tecnici, gli scienziati, elevati da fattore di input a determinanti l’output delle decisioni.
Parte non piccola del caos attuale deriva esattamente dall’ascolto acritico degli scienziati e dalle loro giravolte, comprensibili di fronte a un tema complesso e spigoloso ma negate con arroganza da loro e dai media. Io per capirci farò anche la terza dose del vaccino, che giusto oggi è diventata imprescindibile per i miei coetanei, ma fino a poco tempo fa questa non stava scritta da nessuna parte e molto probabilmente le stesse argomentazioni a suo sostegno saranno riciclate per una quarta dose e così via. Fa parte delle prove ed errori che la Scienza si trova costantemente ad affrontare. È così impensabile che qualcuno, senza essere necessariamente un facinoroso, non si fidi?
Quando abbiamo fatto diventare gli scienziati, che pure sono ben lungi dall’essere una comunità monolitica di sapere, da consiglieri del Principe a fonte del Diritto? Con Greta Thunberg e il suo mantra sugli scienziati che mettevano in guardia dalla catastrofe incipiente e i politici che se ne fregavano.
Quell’argomento era politicamente e intellettualmente ridicolo e se non fossimo stati subissati di conformismo, senso di colpa di chi deteneva una qualsiasi fonte di potere, ridicola disabitudine al pensiero dialettico, non avremmo accolto con questa enfasi una riedizione dal vivo di “Oltre il giardino”.
L’abbiamo capito al G20, quando i Paesi emergenti, che non si sentono in colpa di nulla, hanno preso gli obiettivi dell’Occidente in cerca della sua next big thing e hanno detto “grazie, con comodo lo faremo”.
Si chiama Politica, ed è un campo di azione nel quale interessi contrapposti, ognuno dei quali si percepisce superiore all’altro si confrontano e tra bracci di ferro e compromessi (e pure guerre) trovano un equilibrio o una composizione. Personalmente, so di essere impopolare, ho sempre trovato la sostanza del discorso di Greta Thunberg risibilmente infantile proprio perché ostentatamente impolitico a fronte di un tema che lo è sopra a tutto.
Gli occidentali purtroppo non ce la fanno più a sostenere il peso delle opinioni pubbliche scheggiate e sovraeccitate e si abbandonano all’inerzia del pensiero acritico e neoconformista, ribadito e difeso con cieca e violentissima arroganza.
Ovvio che bisogna vaccinarsi, per sé e per gli altri, altrettanto ovvio che per alcuni ancora adesso non lo sia e chi lo ha capito prima dovrebbe porsi il problema di recuperarli questi recuperabili, non prenderli in giro o metterne in luce solo il lato delirante e mostruoso. Altrettanto ovvio che il clima sta cambiando, che molto probabilmente (la certezza non pare esserci nemmeno tra gli scienziati) questo cambiamento ha molto a che fare con le attività umane e che si debba intervenire con risolutezza anche sui comportamenti individuali e sui modelli di sviluppo, oltre che sulla tecnologia.
Come per i “no green pass”, la retorica da club illuminato e giusto non sta però più funzionando. Il catastrofismo venato di pensiero magico, l’impasto con l’idea della decrescita felice, la confusione su come ci si muoverà e riscalderà in modo sostenibile, il sempre più forte odore di nuova bolla speculativa, il substrato colonialista per cui si decide dello sviluppo degli altri sono problemi che non possono essere affrontati con l’attuale insostenibile iattanza e meno che meno annunciando un’ineluttabile catastrofe al giorno.
Spero di sbagliarmi, ma ricordo che i Gilet Gialli in Francia sono nati nel momento in cui persone che assomigliavano molto agli attuali “no green pass”, hanno cominciato a realizzare il costo sociale della sostenibilità per chi stava fuori dai centri urbani, e non hanno gradito. Passata la buriana Covid è pensabile che si riapra anche quel fronte? Temo di sì, se si continua con la contrapposizione frontale tra chi sa e chi non sa, tra chi ha capito e chi no, senza che i primi avvertano alcun impulso inclusivo verso i secondi, ma solo derisione e fastidio.
I leader e le forze politiche, inclusa la Chiesa, che tra Otto e Novecento si sono occupati della nazionalizzazione delle masse di contadini illetterati facendone cittadini hanno affrontato problemi ben più complessi dei “no green pass”, mettendoci anche tanto bla bla bla (vi immaginate quanto bla bla bla hanno fatto i padri costituenti?). Certamente erano, questi signori e le loro istituzioni, sostanzialmente monoculturali, maschie, bianche, di mezza età ed esercitavano il loro magistero tra caute aperture e troncamenti e sopimenti, oggi impensabili. Ma non può l’Occidente avanzato permettersi di passare da quel modello a un “Attimo Fuggente” costante, nel quale la Politica è un sottoprodotto dell’età adulta come condizione di inevitabile corruzione e sfacelo mentre il pensiero bambino, adamantino e senza compromessi, è l’unica salvezza.
Tutto questo è ancora meno accettabile perché nelle crepe della politica si fa largo il pensiero e la pratica tecnocratica, anche ottima nel caso di Mario Draghi, ma che inevitabilmente altera gli equilibri vitali di una democrazia, separando la rappresentazione dall’esercizio effettivo del Paese.
Lo stiamo sperimentando anche con il PNRR, ingentissima opera di riforma del Paese che i più accorti osservatori cominciano a segnalare essere troppo (Avanti? Ambiziosa? Aristocratica? Affrettata?) per i ritmi e le capacità cognitive del Paese, che quelle sono.
Quando finiranno l’emergenza e i soldi e si tornerà a vivere secondo le possibilità e le promesse, l’obiezione di massa dei “no green pass” sarà solo un brutto ricordo di un tempo faticoso in cui alcuni tirarono fuori del loro peggio o ci toccherà prepararci a uno strutturale incremento della protesta e della sovversione verso politiche strutturali che riguardano la vita delle persone e non sono più condivise? Il capitale politico di milioni di persone sarà canalizzato in un’offerta politica strutturata (non come i tentativi codardi della Destra di lisciare loro il pelo stando comodamente seduti nel Sistema) o si disperderà nell’astensione e nel folklore? Non ne abbiamo la più pallida idea ed è un bel problema.
Nel dubbio, magari qualcuno potrebbe buttarlo un occhio per capire cosa c’è dentro senza concentrarsi sui più scervellati o fare servizi giornalistici da safari. Perché di questi qui non ci libereremo presto.
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