Governo
Inevitabilmente SI’
Michela Cella ha avuto il merito di scrivere su Gli Stati Generali uno dei pochi articoli ben argomentati sul perché votare NO. A differenza di altri, da entrambi i lati, che ne fanno esclusivamente una questione di simpatia o antipatia per il Presidente del Consiglio, penso che le sue argomentazioni siano intelligenti e legittime. Detto questo, non mi trovano per nulla d’accordo. Ecco perché ho deciso di rispondere a Michela, riga per riga, argomento per argomento. L’ho fatto perché si è discusso poco del merito della riforma e molto, anzi moltissimo, di cose francamente molto poco interessanti.
Guida rapida: la parte tra virgolette con la M davanti è quello che ha scritto Michela, la mia risposta è sottostante e inizia dopo la E.
M: “Buongiorno, mi qualifico, penso che se il 4 dicembre vincerà il Sì il mondo andrà avanti e penso che se vincerà il No il mondo andrà avanti. Quello che ci rimarrà, se la riforma fosse approvata, sarà il precedente che una maggioranza risicata (eletta con una legge elettorale dichiarata incostituzionale) può modificare la costituzione.”
E: Il mondo andrà sicuramente avanti, ma se vincesse il SI’, il precedente che si è creato sarà semplicemente che la Costituzione è stata cambiata seguendo le regole che la Costituzione prevede, come accade in democrazia. Se la maggioranza non avesse legittimità si sarebbero dovute sciogliere le camere dopo che il Porcellum è stato dichiarato incostituzionale. A che ci serve un parlamento che non può legiferare?
M: “Ci rimarranno anche una serie di articoli della Costituzione scritti male.”
E: La discussione sulla prosa della Costituzione è una cosa che esiste solo in Italia. Sospetto per colpa di Benigni. La Costituzione non è una lettura di piacere, non si giudica dall’estetica della prosa, ma dall’efficacia del suo contenuto.
M: “Penso che il paese sia davanti ad una crisi politica e non istituzionale,”
E: Penso che il paese sia davanti ad una crisi politica e ad una crisi istituzionale che, in maniera più o meno acuta, dura dal 1948 e a cui siamo ormai talmente abituati che neanche ce ne accorgiamo.
M: “con una classe politica che, incapace di mediare e fare sintesi (caratteristiche fondamentali della Politica), scarica la colpa sulla costituzione.”
E: La prima parte è vera, ma se dagli anni ‘70 ad oggi esponenti di quasi tutti i partiti hanno scaricato (almeno alcune) delle colpe dell’immobilismo politico sulla Costituzione, forse c’è anche spazio per migliorarla. La Costituzione è importantissima, ma non è un Testo Sacro o la parola del Signore.
M: “La quale invece in presenza di solida volontà politica funziona ancora benissimo (la riforma Fornero fu approvata in 18 giorni). Noto da parte delle forze promotrici della riforma una corsa verso la semplificazione anche di fronte a realtà complesse, e temo che, ad una diagnosi sbagliata, potrebbe corrispondere una cura non innocua che non eliminerà problemi e malcontento.”
E: Hai preso come esempio uno dei momenti politici più drammatici della storia della Repubblica e una riforma che ha letteralmente salvato il Paese dal default, almeno nella percezione della comunità internazionale. La verità è che in circostanze normali passare leggi e riforme complicate è sempre stato molto – direi troppo- difficile, non esclusivamente a causa, ma anche a causa, del bicameralismo paritario.
M: “Negli ultimi due anni sono stati approvati Jobs-Act, Sblocca Italia e Buona Scuola e ora viene fuori che per fare ripartire l’Italia #bastaunSì e che quei provvedimenti non hanno funzionato per colpa delle briglie implicite nella costituzione.”
E: Qui siamo davvero su pianeti opposti: se l’Italia e gli Italiani aspettano che un provvedimento divino salvi e da solo faccia ripartire il Paese allora siamo senza speranza. Nessuno ha mai detto che ciascuno di quei provvedimenti, da soli, sarebbero bastati per far ripartire il Paese. Se si è in buona fede, si riconosce che ogni provvedimento, ogni riforma, tra cui quella costituzionale, è un tassello che permetterà, alla fine di un processo di anni, di porre le basi per una crescita sostenibile. Insomma, per semplificare la supercazzola: nessuna riforma da sola è sufficiente, ma tutte sono necessarie.
M: “Abbiamo di fronte una classe politica miope che davanti a contingenze vuole cambiare la costituzione che dovrebbe invece rimanere un patto di garanzia che va bene per tutte le stagioni.”
E: La pensa così anche Clarence Thomas. Ma la Costituzione vista in questo modo si chiama Bibbia (o Corano o…). La Costituzione si può cambiare e modernizzare, specie nelle sue parti di architettura istituzionale. Il bicameralismo paritario non è un valore che porto dentro al pari di “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Modificare l’articolo primo non è come cambiare l’articolo 70. E peraltro è la Costituzione stessa a stabilirlo.
M: “Ma entriamo nel merito, che poi è quello che importa veramente.”
E: Ok.
M: “Il Senato, innanzitutto, non scompare ma subisce parecchie trasformazioni. Secondo i nuovi articoli della riforma esso non darà la fiducia al governo ma mantiene una funzione legislativa (per leggi elettorali, modifiche costituzionali e altre materie di non poca importanza), esprime pareri sulle leggi approvate dalla camera (non vincolanti), continua ad eleggere il Presidente della Repubblica e i giudici della Corte Costituzionale.”
E: Fin qui, ok.
M: “La sua formazione è ancora pervasa da mistero, sappiamo (art. 57) che i consigli regionali sceglieranno “fra i propri componenti” i senatori con metodo proporzionale e in un altro comma “in conformità alle scelte degli elettori”. Se ci aggiungiamo che bisogna anche scegliere un sindaco per regione e che deve essere garantito l’equilibrio di genere, il tutto diventa parecchio confuso. Serve una legge, che non c’è per ora. Serve avere fiducia, ma in chi?”
E: Chiaro che è un mistero, le leggi elettorali non sono leggi costituzionali. Si farà una legge elettorale per il Senato. Se non funziona, se ne farà un’altra.
M: “Questo senato delle autonomie viene nobilmente accostato al Bundesrat tedesco (la camera dei lander) ma se ne discosta in primis per l‘assenza di obbligo di voto congiunto. Nel nostro nuovo senato i lombardi non saranno tenuti a votare tutti uguali, quindi in base a cosa voteranno? In base ai partiti sembrerebbe la risposta più immediata. Quindi sparisce piuttosto velocemente la rappresentanza delle autonomie così sventolata dai promotori.”
E: Forse si sarebbe potuto fare meglio su questo punto, ma nessuna riforma è perfetta. In ogni caso, nel sistema politico attuale, ci sono profonde differenze tra la visione del Sindaco di Milano e quella del Presidente della Lombardia su come rappresentare il territorio: farli votare insieme avrebbe creato spaccature non semplici da risolvere. Il che, peraltro, non implica che non votino secondo quanto ritengono essere il meglio per i territori che li ha eletti, solo che hanno visioni diverse di che cosa sia meglio. Negli Stati Uniti, peraltro, i grandi elettori, in 48 su 50 stati, votano tutti allo stesso modo per eleggere il Presidente. Proprio in questi giorni molti mettono in discussione questo sistema come poco rispettoso delle minoranze.
M: “Che poi scusate, ma in una riforma che centralizza (come vedremo a breve) che senso ha creare una camera che imita (senza grande successo) la seconda camera di un paese davvero federale come la Germania? Mistero.”
E: Due parole: Unione Europea.
M: “E poi, oltre ai 95 tra consiglieri regionali e sindaci, ci saranno i 5 senatori scelti dal Presidente della Repubblica, per meriti verso la nazione. Ma loro che autonomie locali rappresenterebbero? Non è, quantomeno, chiaro.”
E: Vero. Ma i senatori a vita sono serviti a far passare la legge in Parlamento. Politica è anche compromesso.
M: “I nuovi Senatori manterranno il doppio incarico, siano essi consiglieri regionali o sindaci: è lecito chiedersi come faranno a svolgere bene due lavori. Su materie molto diverse e in luoghi anche distanti e con un calendario dei lavori che dovrà coordinarsi con quello di venti (anzi ventuno che le province autonome contano per due) consigli regionali e venti consigli comunali. Permettetemi di essere perplessa.”
E: Molti consiglieri regionali hanno tempo per fare un altro lavoro (consulenze), attività di partito, non strettamente legata all’attività di consiglieri regionali, e soprattutto in certe Regioni lavorano semplicemente molto poco. Non penso che farli lavorare un po’ di più mi farà sentire in colpa. Poi il problema è sempre lo stesso: se eleggiamo lavativi non c’è costituzione, legge elettorale o esorcismo che tenga, lavoreranno sempre poco.
M: “Rinunciamo ad un bicameralismo perfetto, per adottare un quello che alcuni hanno efficacemente definito un bicameralismo pasticciato.”
E: Catchy, ma se potrà creare confusioni nel breve (e comunque resta tutto da dimostrare), quelle criticità verranno risolte nel lungo, alla peggio, ma non necessariamente, con delle correzioni.
M: “La volontà dichiarata di semplificazione del processo legislativo dei riformatori, si è sonoramente schiantata contro l’articolo 70, lungo e non facilmente comprensibile (come invece dovrebbe essere una costituzione) che delinea i caratteri del nuovo processo legislativo.”
E: Cosa non ti è chiaro nello specifico? Continuo sentir dire che non è comprensibile. Fammi un esempio concreto.
M: “Le leggi, dovesse passare la riforma, avranno diversi iter di approvazione a seconda della materia che andranno a regolamentare. Ci sarà il bicamerale perfetto, il monocamerale partecipato (il Senato può intervenire) e due versioni di monocamerale rinforzato (il Senato deve intervenire). Sappiamo benissimo che le leggi spesso sono oggetti complessi e che coprono diversi ambiti e materie e potrebbe non essere ovvio con quale iter debbano essere approvate.”
E: Ribadisco, facciamo degli esempi. Perché a me sembra chiaro cosa, nella stragrande maggioranza dei casi, sarà di competenza della sola Camera e cosa anche del Senato e non sono sicuramente un genio. Quindi, concretamente, che cosa non è ovvio?
M: “Qualora non ci sia univocità di pensiero decideranno i presidenti di Camera e Senato, e qualora questi parlamentari (che immaginiamo mossi esclusivamente dall’interesse per il bene comune e non da interessi di parte) non trovino un accordo bisognerà ricorrere al parere della Corte Costituzionale.”
E: Non credo che sarà così, nel senso che non credo nella sistematicità che sembri suggerire per questa dinamica. Anche fosse, qualcuno pagherà il prezzo politico di un gioco a perdere. Rimane il fatto che la Camera potrà comunque approvare la maggior parte delle leggi in maniera essenzialmente autonoma, previa una prima garanzia di costituzionalità verificata dal Capo dello Stato. A quel punto, la legge entrerebbe in vigore e poi, se qualcuno ritiene vi sia un conflitto di attribuzione e un vizio nell’iter di approvazione, la Corte Costituzionale darà il proprio parere. Sospetto che i casi di incostituzionalità saranno pochi, soprattutto nel medio-lungo termine.
M: “A me poi non sembra fantascienza immaginare che cittadini che non siano d’accordo con una legge facciano loro ricorso alla suprema Corte per un vizio nell’iter di approvazione. Tutto questo ovviamente non contribuirebbe alla certezza del diritto, che quella sì che è un problema tutto italico. Troppe leggi che cambiano continuamente ed è difficile starci dietro.”
E: Fare ricorso non implica avere ragione. Sembri suggerire, anche qui, che la maggior parte delle leggi avranno vizi nell’iter di approvazione. Io penso che a fronte di tanti ricorsi iniziali, pochi di essi avranno successo e di conseguenza, nel medio-lungo periodo diventeranno sempre meno. E, comunque, tutte le leggi controverse negli Stati Uniti finiscono per passare per la Corte Suprema, usata da cittadini, giudici e politici come strumento politico ultimo per affossare provvedimenti avversi. Nessuno, però, parla di “problemi nella certezza del diritto” o di certo non vengono definiti sistematici. I problemi nella certezza del diritto esistono per altri motivi e il Governo vorrebbe appunto porvi rimedio con una riforma della Giustizia.
M: “Come si è detto poco sopra è probabile che i senatori risponderanno ai partiti che li hanno eletti/nominati in Senato e qualora le due camere avessero maggioranze diverse non faccio fatica ad immaginare un ostruzionismo del Senato nei confronti della Camera con interventi su tutte le leggi. E così potrebbe svanire anche l’accelerazione nel processo legislativo, di cui sembra esserci bisogno.”
E: Mettiamoci d’accordo: alle volte la riforma viene accusata di eliminare “check and balances”, rendendo il governo troppo forte. Alle volte, come in questo caso, la si critica perché un Senato con maggioranze diverse da quella alla camera renderebbe il governare più complicato. Delle due, l’una. Io penso che la riforma renderà più stabili i governi, più semplice l’iter legislativo, ma penso anche che il Senato -e le maggioranze alternative che potrebbero verificarsi- garantiscano anche un giusto bilanciamento ai poteri delle maggioranze, una forma di controllo tutto sommato auspicabile.
M: “Il Presidente della Repubblica mantiene per fortuna tutte le sue prerogative, ma cambiano le maggioranze che servono per la sua elezione. Per i primi tre scrutini serviranno i due terzi dell’assemblea, per i secondi tre scrutini serviranno i tre quinti dell’assemblea ma dal settimo basteranno i tre quinti dei votanti. Ma perché? Ma che bisogno c’era di accelerare anche la scelta dell’unica vera figura di garanzia, che trova la sua legittimità proprio nell’ampiezza del consenso necessario per essere eletto. Pertini, come ci è stato ricordato, fu eletto al sedicesimo scrutinio.”
E: Che bisogno c’era? Ma veramente la liturgia attuale piace a qualcuno? Forse finalmente eviteremo di perdere tempo con candidati presentati solo per bruciarli e di vedere i voti al “Conte Mascetti” e a “Cicciolina” nei primi turni, che-tanto-non-contano-nulla. Non c’era nessun bisogno di tenere in piedi una liturgia romana e poco nobile, anzi forse non si è fatto abbastanza per renderla più trasparente. E se anche la riforma non elimina del tutto i problemi di quel rito, mette un po’ di sano “pepe al sedere” agli illustri elettori. Insomma, essendo più facile eleggere un Capo dello Stato dal settimo scrutinio in poi, gli incentivi a trovare subito un accordo e un compromesso aumentano, non diminuiscono. Se poi qualcuno continuerà a mantenere posizioni massimaliste, come il Movimento 5 Stelle nel 2013, o a presentare candidati che non hanno ampio consenso in aula, come fece Bersani con Marini e Prodi, sarà più semplice evitare crisi come quella che ha portato al Napolitano-bis. E non è forse quello che auspichiamo, un Presidente della Repubblica eletto senza scene da soap-opera latinoamericana e con ampi consensi?
M: “La riforma ambisce anche a mettere ordine nel rapporto tra stato e regioni, eliminando la legislazione concorrente (introdotta nel 2001) che tanto contenzioso ha generato davanti alla Corte Costituzionale. Alcuni esperti ritenevano ormai in via di assestamento il numero dei conflitti di attribuzione anche grazie alla giurisprudenza prodotta negli anni dalle sentenze della Corte, quindi forse un tale stravolgimento del Titolo V non era necessario. Anche perché è vero che la riforma sbatte fuori dalla porta molte competenze delle regioni, ma poi le fa rientrare dalla finestra con la dicotomia linee generali/organizzazione e si preannunciano nuovi conflitti. Basti pensare al patrimonio culturale la cui valorizzazione è in capo allo stato ma la cui promozione è in capo alle regioni. La ripartizione a me pare tutto fuorché netta. Ci si muove nella direzione di un rinvigorito centralismo per tutte le regioni,”
E: Mi sembra, invece, che si stia semplicemente cercando di rendere più efficiente il modo in cui si amministra la cosa pubblica, andando a colpire gli sprechi in regioni con rapporti debito/PIL superiori al 300% e lasciando ampie competenze ove lo Stato riconosca la buona amministrazione. Il federalismo, come previsto oggi dal Titolo V, ha fallito. La spesa regionale è in costante aumento. Inoltre, se è vero che quella riforma dava alle Regioni maggiori competenze e naturalmente esse comportano maggiori spese, la crescita della spesa è stata costante e non si è mai stabilizzata in quasi 16 anni, a fronte di servizi che spesso non sono peraltro migliorati (fonte: wikispesa.it).
M: “eccetto quelle a statuto speciale. A loro infatti la riforma non si applicherà fino alla revisione degli statuti per la quale servirà l’intesa con le Regioni, come scritto in una delle norme transitorie (che valgono come la costituzione). Si è scelto di fatto quindi di equiparare gli statuti delle regioni a statuto speciale alla costituzione che è l’unica “legge” che ha in costituzione le norme per la sua revisione (art 138) inserendo la novità di questo elemento di natura “pattizia” per procedere al rinnovo degli statuti. Servirà quindi l’accordo e il consenso della Sicilia (o una delle altre regioni speciali) per togliere competenze e autonomie alla Sicilia, strada che non vedo priva di intralci. Quindi nell’attesa, aumenta in maniera sostanziale il divario tra regioni normali e speciali.”
E: Concordo, purtroppo su questo si doveva fare di più. Eppure non c’erano i numeri in Parlamento per porre fine ai privilegi delle Regioni a statuto speciale e far passare comunque la riforma. Peraltro, è sempre bene ricordare che lo status di province a statuto speciale di Treno e Bolzano, per esempio, ha probabilmente evitato scenari simil-baschi da quelle parti.
M: “Ci sarebbe altro da dire, ma credo che basti. Penso che questa riforma sia scritta male”
E: Repetita iuvant: La discussione sulla prosa della Costituzione è una cosa che esiste solo in Italia. Sospetto per colpa di Benigni. La Costituzione non è una lettura di piacere, non si giudica dall’estetica della prosa, ma dall’efficacia del contenuto.
M: “e che potenzialmente creerà più problemi di quanti vorrebbe risolvere.”
E: Oppure potenzialmente risolve più problemi di quanti ne crea. 🙂
M: “Rifiuto l’accusa di conservatorismo e di immobilismo”,
E: Eppure in tutto il mondo chi tratta la Costituzione come Testo Sacro è generalmente considerato un conservatore. Che, peraltro, non è mica una parolaccia.
M: “perché davanti alla costituzione non credo sia permesso essere pressapochisti e questa riforma lascia troppi punti interrogativi oltre a certezze con cui è più che legittimo non essere d’accordo (come la non elettività del Senato).”
E: Non penso che sostenga il SI’ sia pressapochista, ma semplicemente stanco di un Paese dove ogni volta che qualcuno prova a cambiare qualcosa si grida alla deriva autoritaria (non tu). Detto questo concordo: è assolutamente legittimo non essere d’accordo con qualsiasi parte della riforma. Ma non si può neppure volere la “botte piena e la moglie ubriaca”: se voti NO, non puoi arrabbiarti se ti dicono che sei conservatore.
M: “Non ho apprezzato il metodo con cui è stata approvata, ma queste forse sono sottigliezze su cui ormai è inutile discutere.”
E: Repetita iuvant: la Costituzione è stata cambiata seguendo le regole che la Costituzione prevede.
M: “Non apprezzo il clima da scontro finale e armageddon che da ogni parte si è contribuito a creare. Non apprezzo molti di quelli che voteranno come me, ma con i referendum spesso succede. Voterò convintamente e serenamente NO, nel merito. È quello che penso si debba fare con la costituzione.”
E: Sono assolutamente convinto che se vincesse il NO non finirebbe il mondo, per riprendere il tuo incipit. Eppure bisogna essere consapevoli che una vittoria del NO, dice no a una proposta di riforma, senza proporre nulla di alternativo, portandosi dietro implicazioni politiche che vanno ben oltre la Costituzione che sarà in vigore dal 5 dicembre 2016. Ignorare che una vittoria del NO faciliterà l’ascesa in Italia di forze politiche ben peggiori di quelle che governano oggi, non rende questa realtà meno vera. Ignorare che una vittoria del NO, magari accompagnata da una di Hofer in Austria, sempre il 4 dicembre, lancerebbe la volata a Marine Le Pen in Francia può essere una scelta rassicurante, ma non rende lo scenario meno probabile. Ignorare che una vittoria del NO sancirebbe la fine di una stagione politica, che piaccia o no, non impedirà che ciò accada. E aggiungo: be careful what you wish for. Purtroppo nessun voto avviene in una bolla e ogni voto di questo tipo, per quanto un premier possa sforzarsi di non personalizzare il quesito (anche se Renzi non sempre l’ha fatto), sarà sempre anche un voto politico. Basta esserne consapevoli.
M: “Poi se volete abolire il CNEL firmo quando volete.”
E: #BastaUnSì
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