Governo
Padoan, ma davvero sui derivati la migliore arma del Tesoro è la speranza?
Lo scorso novembre la Commissione Finanze della Camera ha avviato un’indagine conoscitiva sulle tematiche relative agli strumenti finanziari derivati, che aiuterà a valutarne la loro rischiosità in relazione al bilancio pubblico. In quest’ambito vengono ascoltati dirigenti dello Stato, esponenti delle Autorità di vigilanza, accademici ed esperti (in coda all’intervento il video dell’audizione della dott.ssa Maria Cannata, dirigente del Ministero dell’Economia).
* * *
Con l’audizione di Maria Cannata, dirigente di lungo corso del Tesoro e responsabile della Direzione del debito pubblico ed annessi derivati, si è avviata la quarta Indagine conoscitiva sui contratti derivati, questa volta ad iniziativa delle Commissione Finanze della Camera.
Partiti e pronti via c è stato subito un inatteso “stop” prima ancora che i membri della Commissione potessero fare le loro domande. La dirigente infatti ha utilizzato l’ampio tempo disponibile per leggere un documento (comprensivo di ampi richiami normativi francamente ridondanti perché più che noti), che comunque sarebbe stato depositato in atti. In genere, l’audizione è un intervento orale a commento e presentazione di quanto si va normalmente a depositare proprio per permettere le domande ed il contraddittorio. Così è accaduto a noi di Assofinance, l’associazione che rappresenta i consulenti finanziari indipendenti, quando è stato il nostro turno nell’indagine condotta dalla Commissione Finanze e Tesoro del Senato nel 2009. Stavolta, a tempo ormai finito, il presidente Daniele Capezzone ha chiesto a Cannata di integrare la propria memoria perché era emerso, pur ad orecchie poco avvezze alla materia, che mancavano chiari dati quantitativi e numerici. Cioè, l’essenza se parliamo di finanza.
In particolare, poi, se il tema sono strumenti finanziari derivati, i dati che interessano non sono solo i valori nozionali, ma i dati di rischio prospettico, quelli economici sui valori dei contratti sia in sottoscrizione che nelle numerose e spesso complesse rinegoziazioni, i costi sostenuti, le risorse tecniche impiegate, gli accantonamenti fatti ecc. Insomma tante tabelle e grafici comprensibili e chiari anche per non addetti anzichè lunghi richiami alle norme. Molto poco di tutto questo nella memoria depositata.
Ha altresì sorpreso l’intervento dell’on. Causi (Pd) che voleva interrompere le proteste del Movimento 5 Stelle che ribadiva la necessità che il Tesoro mettesse a disposizione le copie dei contratti. Parliamo dello stesso dott Causi che ai tempi della sua dirigenza come responsabile economico e finanziario al comune di Roma aveva dato via libera a complesse ed imponenti operazioni in derivati (compresi amortizing swap e sinking fund con annessi CDS) il cui esito non è stato affatto favorevole al rendiconto economico della capitale.
Ha sorpreso pure la doppia motivazione espressa dalla dott.ssa Cannata per cui i documenti non sarebbero da fornire: oltre ai tre mesi necessari per produrli con conseguente “blocco” dell’attività del suo ufficio (noi avremmo creduto che il tutto fosse immediatamente disponibile su supporto informatico come per qualsiasi banca), sarebbero informazioni sostanzialmente “price sensitive” e comprometterebbero la nostra competitività. Ma per chi? Le controparti conoscono perfettamente le nostre posizioni. Non fosse altro perché c è stata la discutibile abitudine italiana che chi gestiva veniva dalle banche e poi ci tornava pure: si chiamano “porte girevoli” a quanto pare frequenti al Ministero dell’Economia. Piuttosto preoccupa il fatto che c’è un evidente e prolungato imbarazzo sulla trasparenza. Fornire i contratti permetterebbe di ricostruire tutta l’operatività: emergerebbero quei numeri finora mancati e mai pubblicizzati nonostante anni di richieste in tal senso.
Ed un assaggio che forse qualche problemino ci sia lo si è capito quando la dottoressa Cannata ha fornito una giustificazione in relazione all’operatività in “swaption” (denunciata per prima da inchieste giornalistiche partite da Londra) che potevano sfuggire ai non addetti, ma non a tutti. Senza entrare in dettagli tecnici che annoierebbero il lettore, la giustificazione fornita appare invero un po’ inquietante e meriterebbe tutte le disclosures del caso. Appare evidente un legame tra gli interessi delle banche controparti (parliamo degli specialisti che poi sottoscrivono il nostro debito) e quelli del Tesoro. Le banche “chiamano” ed il Tesoro prontamente risponde. Interessi che teoricamente dovrebbero essere del tutto contrapposti. È senz’altro convincente la spiegazione sulla drammatica situazione del 2011-2012: ma l’opinione pubblica non è a conoscenza che si è dovuto venire incontro all’eccesso di esposizione delle banche (il loro utile potenziale verso il Mef aumentava drammaticamente ) operando scelte che sgravavano le medesime, mentre nulla è stato detto se, così agendo (vendendo le swaption) veniva operata una riduzione dei rischi lato Repubblica.
Il lettore può intuire che se una parte si giova della riduzione dei rischi qualcun altro in genere se li accolla. Non solo. Ci sono stati altri passaggi che riletti pongono dubbi e crediamo qualche legittima preoccupazione. Ma per ora ci fermiamo qui, in attesa della seconda parte dell’audizione dove speriamo ci sarà il tempo e necessario e verranno poste domande speriamo pertinenti e sentiremo risposte convincenti.
Molto dipenderà dalla sensibilità/conoscenza di coloro che porranno queste domande. Ce ne sarebbero molte da fare: ad esempio, nulla sappiamo ancora circa le risorse tecniche e umane che l’ufficio del Tesoro preposto impiega per gestire 163,1 miliardi di contratti e dove sappiamo solo ora che il relativo “mark to market” (valore economico) è negativo per 36, 87 miliardi di euro e dove le swaption, che dovrebbero essere del tutto marginali, incidono per ben il 12 per cento. Parliamo, si badi bene, di swaption vendute, non acquistate. Sono risorse almeno pari a quelle di una grande banca d’affari? E che dire del lungo passato? E la situazione negli enti locali? Non basta sapere quanti ne sono rimasti, ma quanto sono costati i derivati fatti e chiusi anticipatamente dai piccoli comuni fino alle grandi regioni? Quanti “sinking fund” ancora in essere e quale il loro rischio di credito? In Puglia, pur avendo eliso i rischi dello stesso (sul filo di lana della ristrutturazione del debito greco del 2012) è iniziato un processo penale a Bari per truffa aggravata. Molto c’è ancora da chiarire anche sulle clausole di early termination (chiusura anticipata). Oggi almeno sappiamo quante sono, ma nulla è detto del loro impatto potenziale e quanto sono costate le ristrutturazioni per ridurle da 35 a 13.
Il precedente unico noto di Morgan Stanley, quello costato ai contribuenti 2,6 miliardi (importo non citato in relazione: perché?), non preoccupa solo per l’ammontare ma per come è stato gestito. Il “termination event” (clausola unilaterale a favore della banca americana) era noto da anni, da quando la soglia di attivazione era stata superata di decine di volte. Non è verosimile che si potesse confidare sul fatto che «nonostante le soglie fossero state superate da anni, la banca non aveva mai dato segno di voler far valere la clausola». Ma da quando la speranza è diventata strumento di gestione finanziaria? È una domanda a cui, oltre che la dott.ssa Cannata, sarebbe utile facesse qualche considerazione anche il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
*Questo contributo è stato scritto dall’autore nella sua qualità di vicepresidente di Assofinance, associazione dei consulenti finanziari indipendenti
Devi fare login per commentare
Login