Governo

Il sogno di un paese normale, per svegliarsi dall’incubo

20 Agosto 2018

Dopo il crollo del Ponte Morandi, decine di morti, centinaia di sfollati, miliardi di danni, il paese si raccolse tutto attorno alle vittime, a una grande città ferita.

Il governo approntò strumenti di emergenza per Genova e i suoi abitanti e le famiglie delle vittime, da un lato, e mise in campo una strategia negoziale molto dura e concreta nei confronti della concessionaria Autostrade per l’Italia. Parló poco, e bene, solo il presidente del Consiglio, mentre tutti ministri si dedicarono a lavorare molto e silenziosamente, ognuno per le materie di competenze, per mitigare la tragedia e gettare le condizioni perché fosse l’ultima. L’opposizione si mise a disposizione del paese, invitando tutti i suoi amministratori a fornire competenze e risorse umane per risolvere l’emergenza.

Alcuni esponenti di seconda fila dei vari schieramenti non resistettero alla tentazione di conquistare un po’ di visibilità accusando questa o quella scelta fatta dai propri avversari di aver contribuito al disastro di oggi. Furono i capi dei principali partiti a riportare l’ordine. I vertici del Partito Democratico riconobbero che furono fatti molti errori ai tempi della concessione sottoscritta nel 2007, e in particolare l’articolo 9 bis che riconosce alla concessionaria il diritto a tutti gli utili attesi anche in caso di inadempienza grave della stessa concessionaria.

Di contro, i vertici della Lega riconobbero l’errore di aver votato in parlamento, nel 2008, a favore di nuove condizioni, fortemente vantaggiose per la concessionaria stessa, che consentivano di fatto un incremento degli utili e un minor vincolo per gli investimenti sulle reti stradali. Il Movimento 5 Stelle riconobbe che dire no a opere alternative aveva avallato la permanenza in funzione di un Ponte che, evidentemente, sicuro non era. Nessuno era davvero puro, nel Belpaese, e nessuno volle sembrarlo in un momento così drammatico.

Nessuno ebbe tempo di occuparsi di selfie coi ministri, applausi veri e presunti fischi, perché lo cose importanti erano altre e, ovviamente, non c’era neanche bisogno di dirlo.

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