Governo
Il Sindaco d’Italia, la democrazia liberale e il resto del mondo
A sei mesi dall’inizio della legislatura, la Presidente del Consiglio fa ripartire l’infinito dibattito sulle riforme costituzionali e mette sul tavolo il tradizionale cavallo di battaglia della destra, il presidenzialismo. Il centrosinistra fa muro, mentre il (cosiddetto) Centro rilancia con la strampalata idea renziana del ‘Sindaco d’Italia’, un mostro giuridico incompatibile con l’essenza stessa delle democrazie liberali, il principio fondamentale della separazione dei poteri.
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Come premessa, vale la pena ricordare che, da Aldo Bozzi a Giorgia Meloni, in quarant’anni i tavoli per le riforme non hanno mai portato a nulla, se non una pasticciata riforma del titolo V nel 2001 e un lineare taglio dei parlamentari nel 2020. I tentativi più ambiziosi, come il semipresidenzialismo abbozzato e abortito con la bicamerale D’Alema (1997), il premierato ‘forte’ di Berlusconi (2005) e il superamento del bicameralismo perfetto promosso da Renzi (2016) non hanno mai visto la luce. E, probabilmente, la stessa sorte toccherà al tavolo per le riforme voluto dalla premier. Ma se Meloni fosse più brava, o più fortunata?
Cos’è il ‘Sindaco d’Italia’
Col ‘Sindaco d’Italia’ si vuole riproporre a livello nazionale un sistema simile a quello introdotto negi anni Novanta con l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di Regione (il ‘Tatarellum’). Il ‘Sindaco d’Italia’ è il premier eletto direttamente dai cittadini contestualmente all’elezione del Parlamento. Un garbuglio giuridico, simul stabunt, simul cadent, che lega il destino del sindaco-premier a quello dell’assemblea: se tu parlamento mi sfiduci, si torna a votare; se io sindaco-premier mi dimetto, si torna a votare. In breve: il sindaco-premier decide e il parlamento approva, altrimenti si va tutti a casa. I critici del presidenzialismo, del premierato e del cancellierato lamentano una concentrazione eccessiva di poteri nel capo del governo. L’idea del ‘Sindaco d’Italia’ va addirittura oltre, piegando il potere legislativo a quello esecutivo. In breve, il sistema del ‘Sindaco d’Italia’ seppellisce la separazione dei poteri dello stato, principio su cui si fonda la democrazia liberale. Un’idea da ‘democratura’, ed è singolare che a proporla siano proprio i liberal-democratici. Qualcuno deve aver fatto confusione tra Montesquieu e Bin Salman.
Sindaci d’Italia nel mondo
Qualcosa di simile al Sindaco d’Italia non esiste altrove. Un caso o un segno? La cosa che più si è avvicinata all’idea renziana è stata l’elezione diretta del premier introdotta in Israele nel 1996, anche se quel sistema manteneva una netta separazione tra Knesset (parlamento) e premier eletto direttamente, disponendo che le dimissioni del premier non avrebbero implicato lo scioglimento del parlamento. L’elezione diretta andò così bene che, dopo tre elezioni e due “coabitazioni” in cinque anni (1996, 1999 e 2001), si decise di tornare al vecchio sistema parlamentare.
Viva il Parlamento
Tra le democrazie europee più consolidate, una trentina, esiste solo una repubblica semipresidenziale, la Francia, che, peraltro, non gode di buona salute, tantoché, almeno dal 2007, si discute di una Sesta Repubblica per spostare il baricentro del potere dal Presidente al Parlamento. Tutti gli altri Paesi, inclusi quelli in cui il Presidente della Repubblica è eletto direttamente, sono, di fatto, dei sistemi parlamentari. Questa netta preponderanza dei sistemi parlamentari su quelli presidenziali è, già da sé, molto eloquente. Perché dunque arrampicarsi nella solita, pasticciata soluzione all’italiana che va nella direzione opposta? La riforma che veramente servirebbe per affrontare la crisi della democrazia nel Paese è la riforma del Parlamento: dei suoi regolamenti, per migliorarne il funzionamento, e del sistema elettorale, per migliorarne la rappresentatività.
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