Governo

Il Pd prende a esempio i Ds del 2003? Allora Renzi sbaglia come D’Alema

30 Marzo 2016

Il Partito democratico invita all’astensione gli elettori sul referendum “No triv”. Meglio una gita fuori porta che recarsi alle urne, visto che per invitare ad “andare al mare” è un po’ presto con i seggi aperti il 17 aprile. E, per carità, si tratta di una posizione legittima. Ogni forza politica può scegliere una strategia. Esattamente come fecero i Ds nel 2003. E l’assonanza di posizioni astensionistiche fa quantomeno sorridere: i rottamatori giunti alla tolda di comando seguono lo stesso percorso dei rottamati.

Per metterla sul piano idealistico, il problema risiede in un principio che dovrebbe stare a cuore: sollecitare la partecipazione elettorale, stimolando il dibattito e spiegando la ragioni del “no” che pure sono fondate. La sensazione – nemmeno troppo celata – è che sia molto comodo giocare con il quorum per portare al fallimento la consultazione. Un modo per “vincere facile”, perché si parte con il vantaggio dell’astensione fisiologica. Una tecnica che non ha ideato di certo Matteo Renzi: la storia politica è piena di casi del genere. Ma che di questi tempi – con i cittadini sempre più distanti dal processo decisionale – potrebbe rappresentare un problema non secondario per la democrazia. Ancora di più se viene seguita da chi voleva rivoluzionare il modo di far politica.

Al di là delle “quisquilie” sul funzionamento democratico, la battaglia interna al Pd si combatte a colpi di comunicazione e di dichiarazioni. Mentre Roberto Speranza invita i colleghi al confronto a pochi giorni dalla direzione nazionale, gli ultras di Matteo Renzi – sui social e non solo – deridono la sinistra dem, ricordando che nel 2003 il Ds fecero campagna per l’astensione al referendum sull’Articolo 18. E viene quindi rilanciato sui social il manifesto con lo slogan “Non”, che evidenziava come il “non voto” fosse un diritto di tutti. In questo caso l’ironia sulla coerenza di quel gruppo dirigente è scontata. Per la serie: non si capisce perché l’astensione sarebbe stata buona tredici anni fa mentre oggi è disdicevole. Tutto vero. D’altra parte è anche vero che nel caso specifico di Speranza a quell’epoca era poco più che 20enne. E magari non ha proprio grandi responsabilità su quel “non”, che va quindi messo nel conto di molti suoi attuali compagni di corrente partitica.

Non referendum

Ma il problema, a prescindere all’opinione sul referendum del 17 aprile, è un altro. Così facendo la segreteria dei rottamatori prende a modello la filosofia politica che fu di D’Alema&compagni. Né più né meno. Perché rievocare la campagna refendaria del 2003 sortisce di certo l’effetto di mostrare l’incongruenza degli allora vertici diessini. E l’obiettivo è sicuramente raggiunto. Ma, leggendo in filigrana la strategia, sembra proprio che l’attuale segreteria del Partito democratico segua la medesima logica. Che, detto per inciso, non è da rottamatori “rivoluzionari”. Se i Ds di allora sbagliarono, il Pd di oggi abbraccia l’errore. Moltiplicandolo.

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