Governo
Il Pd, l’Anpi e il compito titanico della ragionevolezza
L’estate politica è fatta di grandi pause, e tempeste feroci che si scatenano in minuscoli bicchieri d’acqua.
L’estate del 2016 ha portato con sé la polemica fra il PD e l’ANPI; argomenti: il referendum costituzionale, la campagna per il Sì e per il No, la democrazia interna delle due organizzazioni, la partecipazione alle feste dell’Unità.
Proviamo a riassumere i termini della discussione: a fine gennaio, l’ANPI decide formalmente che la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi non è una buona riforma; anzi, si tratta di una riforma da respingere, perché restringe gli spazi democratici del paese. Decide di schierarsi per il No al referendum d’autunno, non solo esprimendo opinione contraria, ma chiedendo esplicitamente alle proprie organizzazioni territoriali di mobilitarsi, sia in forma autonoma sia aderendo ai Comitati per il No insieme ad altri. Gli aderenti che invece vedessero con favore le riforme, potranno ovviamente votare come meglio credono, ma viene esplicitamente vietata loro la partecipazione a iniziative o comitati a favore del Sì.
La reazione del PD non si è fatta attendere, e sono cominciate le dichiarazioni velenose contro l’Associazione dei Partigiani. Nell’esercizio si è particolarmente distinta la ministra Boschi, che, dopo aver dichiarato che chi si fosse opposto alla riforma avrebbe in fondo votato come i neofascisti di Casa Pound, ha aggiunto che gli attuali aderenti all’ANPI hanno poco a che fare con i veri partigiani, che sono per lo più defunti, e avrebbero certamente votato Sì.
Nelle ultime settimane, la polemica si è riaccesa, con l’ANPI che ha deciso di non allestire i consueti stand nelle feste dell’Unità, non avendo avuto il permesso di effettuare iniziative di propaganda per il No. Persino la celebrazione della liberazione della città di Firenze, in cui per la prima volta non sarebbe stata data la parola a un rappresentante dei Partigiani, ha contribuito ad avvelenare il clima. Negli ultimi giorni diversi esponenti del PD si sono fatti carico del ruolo di “pontieri”, per cercare di abbassare i toni e impedire che il conflitto tra il partito e una delle organizzazioni storicamente più vicine possa ulteriormente deflagrare.
Una prima osservazione che si può fare riguarda l’esasperazione che della questione referendaria è stata fatta dalla dirigenza del PD e dal Presidente del Consiglio: il legame strettissimo posto fin dall’inizio fra la sorte delle riforme istituzionali e la vita del Governo, ha spostato da subito la discussione dal merito delle questioni ad un plebiscito pro o contro il governo. I più recenti tentativi di retromarcia, da questo punto di vista, rischiano di apparire frettolosi tentativi di allinearsi a sondaggi sfavorevoli.
Ad avvelenare ulteriormente il clima ha contribuito anche la modalità che – quasi sempre – il gruppo dirigente del PD ha scelto per sostenere le sue posizioni: le dichiarazioni poco felici di Maria Elena Boschi, sopra ricordate, non sono episodi isolati, ma si inseriscono in uno stile argomentativo muscolare e irridente – dall’#enricostaisereno al #ciaone – che sembra più adatto al bullismo da tastiera proprio di alcune discussioni sui social network che agli esponenti di una classe dirigente.
C’è da chiedersi se una impostazione simile, ammesso che possa portare i risultati voluti nel breve periodo, non generi nel lungo periodo danni maggiori, recidendo i legami fra il PD e mondi che da sempre gli sono contigui.
La polemica con l’ANPI, da questo punto di vista, è esemplare. E forse indica come, in un clima perenne da lotta nel fango, tutti rischino di essere raggiunti dagli schizzi.
L’ ANPI non è una organizzazione qualsiasi: naturalmente, nel tempo il numero dei partigiani combattenti è calato fisiologicamente; ma è comunque considerata da tutti la legittima custode dei valori e dei principi che hanno animato la lotta contro il fascismo e per la costruzione della Repubblica; con i suo circa 120.000 iscritti, e con un’area di influenza assai più ampia, è un oggetto autorevole e ascoltato, in particolar modo nell’opinione pubblica di sinistra.
Ha piena legittimità, evidentemente, di schierarsi in un dibattito sulla riforma della Costituzione. Ma è opportuno che lo faccia consapevole che la sua presa di posizione mette sul piatto della bilancia tutto il peso simbolico, storico e morale dei valori che rappresenta.
E quindi, la riforma proposta dal Governo giustifica l’accusa di prospettare uno stravolgimento in senso autoritario della nostra Carta Fondamentale ? Perché, forse, solo una risposta positiva a questa domanda potrebbe giustificare l’impegno così deciso dell’Associazione Partigiani in questa contesa.
E’ chiaro, bisognerebbe entrare nel merito delle singole modifiche presentate. Sicuramente, anche ad una analisi superficiale, sembrano giustificate le osservazioni di chi critica la confusione in materia di superamento del bicameralismo. E certamente, la combinazione con la nuova legge elettorale, l’ormai celeberrimo Italicum, concede a chi sarà il vincitore delle elezioni un potere obiettivamente eccessivo.
Del resto, anche i sostenitori delle riforme preferiscono non porre troppo l’accento sulla bontà delle loro proposte di modifica, quanto sulla necessità di “fare qualcosa”, nel timore del contraccolpo politico che avrebbe un nuovo fallimento nel tentativo di rendere più efficiente il nostro sistema istituzionale. Un’argomentazione comprensibile, e certamente rilevante, che tuttavia sembra confermare indirettamente la valenza strumentale di queste riforme
Ma è necessario ricordare che nel proporre la riforma il Governo sta seguendo in maniera rigorosa le procedure previste dalla Costituzione stessa. Anche giudicando pessima questa riforma, forse è esagerato definirla una stretta autoritaria; per dire meglio, è comprensibile che tali dichiarazioni le facciano le forze politiche impegnate per il No: una certa dose di enfasi è connaturata allo scontro politico acceso. Ma l’ANPI dovrebbe forse fare maggiore attenzione a non scendere su questo terreno: glielo impongono la sua storia e il suo ruolo fondamentale.
Oggi molti stanno cercando di riportare lo scontro entro limiti più ragionevoli, e probabilmente tutti dovremmo augurare loro successo. Persino il Presidente del Consiglio, per convinzione o per calcolo, sembra voler andare in questa direzione.
La sostanziale militarizzazione delle Feste dell’Unità a favore del Sì sembra rendere improbo lo sforzo, anche se qualche segnale positivo sembra arrivare, seppure a fatica. Ma quando una forza politica sembra sistematicamente impegnata a farsi del male, il compito della ragionevolezza è sempre titanico.
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