Governo
Il Pd di Renzi va a destra?
È ormai una sorta di mantra: con l’avvento di Renzi, il Partito Democratico starebbe scivolando verso il centro, abbandonando il centro-sinistra, per non parlare della sinistra. Ha ripudiato dunque, secondo molti, la sua caratterizzazione originale, in una sorta di riedizione della vetusta Democrazia Cristiana. Sarebbe stato invaso dalle truppe di Berlusconi, in cerca di un suo sosia più giovane, ma non molto dissimile dal fondatore di Forza Italia. Per questo, seguendo il pensiero di molti commentatori, la politica di Renzi (o del cosiddetto PDR) pare riproporre in tante occasioni quella dell’antico governo di centro-destra. Perché non ne sarebbe altro che un clone, solo appena meno centrato sui problemi della giustizia. La prova più evidente di questo passaggio viene costantemente ritrovata nel fatto che l’attuale premier, in numerose analisi, sembra piacere anche ad una fetta significativa dell’elettorato di centro o centro-destra, dall’Udc fino a Forza Italia. Iniziamo proprio da qui, da quell’unico dato su cui ci si può basare per giungere a quelle conclusioni.
La fiducia in Matteo Renzi è infatti realmente trasversale. Si parte da una quota di quasi il 90% di gradimento tra gli elettori del Pd, per scendere al 60% tra quelli di Ncd, Udc ed ex-elettori di Monti, al 35% di Sel, al 30% di Forza Italia. Gli unici elettorati dove il premier ha un gradimento piuttosto basso sono quelli di Lega e M5s, che si fermano sotto al 20% di giudizi positivi sulla sua figura. Questa è dunque una prima prova. Ma se Renzi piace un po’ anche al centro-destra, significa che il suo stesso elettorato si è trasformato, ri-plasmandosi su queste frequenze? Le analisi di tutti i più accreditati istituti di ricerca smentiscono decisamente questa ipotesi. Oggi l’elettorato del Pd è formato per il 55% da votanti che si dichiarano di centro-sinistra, dal 22% che si dichiara di sinistra, dal 10% di centro e da un ulteriore 8% di centro-destra, oltre che da alcuni che non si collocano. Una conformazione che si discosta solo di poco sia dall’elettorato del 2013, con Bersani leader, che da quello di 5-6 anni fa, il periodo immediatamente successivo alle prime elezioni dopo la nascita del partito. E’ vero che questi minimi scarti vedono un incremento della quota di chi si definisce di centro-destra (che era allora pari al 4-5%), ma si tratta di differenze non particolarmente significative.
Il Pd rimane oggi ancora la prima scelta tra chi si definisce di sinistra (33%), seguito tra l’altro non da Sel o Rifondazione ma dal Movimento 5 stelle (per il 25%); è poi largamente il più gettonato tra chi si dichiara di centro-sinistra (65%). Ed è solo la seconda scelta, per il 20%, tra i (pochi) che si definiscono di centro. Un partito quindi non particolarmente trasversale, ma ben sviluppato intorno dall’asse predominante di centro-sinistra. Come confermano anche i flussi di voto dalle ultime elezioni europee, che indicano come soltanto una quota minoritaria, vicina al 4%, provenga da una precedente scelta per il PdL. La vera forza politica realmente trasversale, per inciso, è invece rappresentata proprio dal movimento di Grillo, presente in maniera abbastanza omogenea in tutte le aree politiche del paese, oltre che da i non-collocati.
Il favore per il premier e per il suo partito non pare dunque figlio di un viaggio verso la destra, ma sembra incarnare molti dei desideri degli italiani, di svecchiare il mondo della politica, di superare le antiche contrapposizioni e di gettare una luce inedita sul prossimo futuro. Magari ci riuscirà, magari no, e si rivelerà anch’egli incapace di cambiare il paese. Lo si vedrà presto, entro un paio d’anni, ma per ora permane un buon tasso di fiducia in lui, sia pure in calo e, per molti, la inconfessabile speranza che riesca nel suo intento.
Nella foto di copertina, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi alle celebrazioni del 25 aprile – immagine tratta dal profilo Flickr di Palazzo Chigi
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