Governo
Il Paese grippato che nessuno può guidare
Togliendo il fumo dei giochi di prestigio, il punto è che in Italia nessuno può esercitare il potere per orientare il Paese in una direzione o in un’altra.
Nella camicia di nesso imposta dall’Ue in questi anni, nella gabbia delle politiche economiche e dei parametri che non possiamo mettere in discussione nonostante sia evidente che sono deleteri, qui non c’è più nessuno, nè un sovrano nè un gruppo nè un dio, che abbia effettivamente le prerogative e la forza per dirigere, con le buone o con le cattive, la nave verso una qualunque meta.
Il sistema di vincoli che ci lega, ci priva delle risorse economiche necessarie a realizzare qualsivoglia politica. Questo avviene a livello nazionale e negli enti locali, nel pubblico come nel privato, poichè in un circuito tutto si tiene.
Non esiste potere, a qualsiasi livello, espressione di un volere dei cittadini, che sia in grado di esercitare la benchè minima discrezionalità nella definizione della rotta da seguire attraverso la allocazione delle risorse. Questo potere è già di norma molto limitato, in questa fase è nullo; la gestione delle poche risorse esistenti è pressochè preordinata.
In altre parole, la macchina è in moto, ma non esiste nessuno che abbia la possibilità di muoverla, tanto meno in una direzione o in un altra.
Nondimeno, ammettiamo in astratto che uno spazio di manovra vi possa essere; ammettiamo che in questa gabbia della somma zero si possano modificare le strutture e i costumi del nostro paese per riorganizzare la distribuzione delle risorse, per diminuirle o aumentarle nei vari settori. Ammettiamo cioè che si possa davvero “innovare”. Ma chi innova? E con quale potere per farlo?
L’innovatore dovrebbe essere un soggetto esterno a questo sistema, per non essere legato dagli interessi conservativi che fino ad ora non hanno innovato, oppure un soggetto in grado di svincolarsi da tali interessi.
E, esistesse un tale soggetto, dovrebbe essere dotato del potere sufficiente, svincolato dagli interessi esistenti per agirne al di fuori. In una democrazia tale potere dovrebbe derivargli dal consenso. Ammettiamo che ci sia un soggetto dotato di un consenso amplissimo, diciamo il 41% dell’elettorato.
Basterebbe questo consenso a fornire il potere di agire, ad un certo momento, non più solamente svincolato dagli interessi (o combinandoli di volta in volta in modo da non cedergli) ma contro di essi? Perchè questi interessi costituiscono il Paese, sono il Paese nella sua interezza, ognuno di noi si è collocato all’interno di essi, piccoli o grandi che fossero.
Ci si potrebbe chiedere chi garantirebbe i cittadini delle scelte di un tale soggetto. Ma questo sarebbe un passo successivo rispetto alla eventualità che questo potere, anche in astratto, possa esistere.
Una democrazia, infatti, prima che di principi applicati o traditi, è un assieme di dispositivi. Intanto questo soggetto non potrebbe essere una persona (non esiste un re), ma un collettivo di persone (per lo meno un governo). E poi questo collettivo, forte del consenso iniziale, dovrebbe applicare la propria discrezionalità tramite meccanismi che producano l’effetto finale sul paese. Escluse le concorrenze tra i membri del collettivo, si tratta di capire se i meccanismi della democrazia sono funzionanti abbastanza a ottenere lo scopo. Solo a titolo di esempio. Ammesso che Renzi abbia il 41% del consenso, e che sia in grado di concordare con Madia una riforma della pubblica amministrazione del tutto coincidente al proprio volere, e che il consenso basti ad imporla a un settore composto da cittadini che eventualmente non la vogliano, i dispositivi della democrazia (dalle burocrazie ministeriali, attraverso i congegni parlamentari, fino a scendere…) recepirebbero l’impulso trasferendolo in modo proporzionato alla forza iniziale? E ciò potrebbe avvenire in tutti i settori pressochè contemporaneamente al fine di riallocare risorse nel sistema della somma zero?
Parliamo di questo quando parliamo della lotta dell’innovazione contro la conservazione.
L’Italia, lo diciamo da ben prima che iniziasse la crisi, è un Paese in crisi. Prima che economica, culturale, o cos’altro, questa crisi è organizzativa, è una crisi dei dispositivi democratici, è il malfunzionamento delle strutture fondamentali della democrazia.
Ci si può illudere che l’innovazione possa avvenire a costo zero; o peggio, ci si può illudere che l’innovazione possa avvenire a costo zero e senza avere gli strumenti adeguati per produrla, bensì stimolandola con la persuasione, a parole.
La verità è che oggi, tramonto del 2014, in questo Paese quasi tutti hanno il potere di tenere fermo il tempo, ma nessuno, nessuno, ha il potere sufficiente, alle condizioni date, per rimetterlo in moto.
Potrà apparire pessimistico, ma capirlo è il punto di partenza per invertire la rotta. Un processo difficile, altrimenti impossibile.
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